
Non tutte le storie del design nascono da un brief. Questa, in particolare, inizia da una relazione umana inattesa, con radici nell’entroterra marchigiano. Nell’autunno del 2024, Marco Ripa, artigiano-designer di Porto San Giorgio (FM) e fondatore del brand RIPA, ri-scopre due architetture progettate da Innocenzo Prezzavento negli anni Settanta: la “Casa nella collina” e la “Casa sulla collina” (pubblicate in Mappe n.15). Queste diventano il set fotografico del secondo episodio di Scatti di Marca: un progetto che valorizza l’architettura contemporanea delle Marche in dialogo con il design, inaugurato nel 2023 con gli scatti ambientati a Ca’ Romanino, residenza firmata da Giancarlo De Carlo sulle colline di Urbino. Ripa così conosce Prezzavento: architetto classe 1938, nato a Parma, ma sempre vissuto ad Ascoli, eccetto che negli anni della formazione trascorsi fra Napoli e Firenze. L’intesa tra i due, e il desiderio di Prezzavento di veder realizzato il suo primo oggetto industriale, hanno portato alla nascita di Triangolo: un progetto che era stato disegnato nel 1971 proprio per la “Casa nella collina”, ancora oggi incastonata nel paesaggio di Acquasanta Terme.
Triangolo è un sistema modulare di tavoli in alluminio per interni ed esterni: una grammatica costruita su multipli di una geometria elementare. Custodito per oltre cinquant’anni nell’archivio di Prezzavento, rivela oggi tutta la sua sorprendente attualità. RIPA ne ha curato l’edizione, che è stata presentata in anteprima alla Milano Design Week 2025. Triangolo è una struttura aperta, generata dal e generatrice di un dialogo intergenerazionale tra passato e futuro, tra architetto e artigiano, tra forma, materia e funzione.



Design originario: Innocenzo Prezzavento, 1971
Collaboratori: Luca Di Lorenzo Latini, Sebastiano Carella, 2024
Realizzazione e produzione: RIPA, 2025
Misure: triangolo equilatero, lato 73 cm, altezza 73 cm
Colori: Carta, Liquirizia, Pesca, Burro, Cielo, Seta, Oceano, Foglia, Argilla, Fuoco




MR Innocenzo, Triangolo è un progetto del 1971 che vede la luce soltanto oggi. Qual è l’idea originaria da cui sei partito?
IP In quegli anni, il settore dell’arredamento stava sperimentando il concetto di posto-divano, non come oggetto autonomo, ma come composizione di moduli. Mi sono quindi chiesto: perché non studiare anche il posto-tavolo da poter comporre a piacimento? Ho cercato con serietà d’individuare la giusta porzione di spazio necessaria al comfort, la giusta misura per l’uomo. Inoltre, volevo rispondere a questa domanda attraverso un modulo non riconducibile alla sua funzione; una forma astratta e criptica, che una volta accatastata potesse diventare una scultura domestica. La mia era una battaglia contro la miseria dell’economia di spazi. Ho sempre odiato le sedie impilabili, che dichiarano apertamente la carenza di respiro di una casa. Anche per le sedie ho studiato un sistema che mi permettesse di avere un oggetto scultoreo astratto, irriconoscibile e non identificabile come una banale serie di “sedie impilate”.
A te cosa ha intrigato di questo progetto, cosa ti ha spinto a scegliere Triangolo per il catalogo di RIPA?



MR Per prima cosa, la sua attualità, e poi l’affinità con il nostro lavoro. Triangolo è una collezione in divenire: si compone, si scompone, entra in relazione con l’ambiente, ripensando spazi e funzioni. Coglie le necessità dell’abitare contemporaneo e le risolve in modo essenziale, senza fronzoli, ma allo stesso tempo “empatico”. Il modulo base triangolare può essere aggregato per creare configurazioni potenzialmente infinite: regolari, come rombi ed esagoni, o più libere e spontanee. È estremamente versatile. Triangolo può essere un tavolo, una scrivania, un tavolino da due posti o una struttura modulare più complessa. E quando non serve, sa restare al suo posto senza ingombrare.
Come sei arrivato a questa flessibilità?
IP Me la sono imposta a priori, come tema del progetto. Non credo nella bellezza in sé. Io progetto in base alle future funzioni e alle possibili ingegnerizzazioni. Sono in grado di disegnare solo se rispondo a un problema ben posto. Triangolo è nato pensando allo stampaggio di materie plastiche. All’epoca, sembrava un processo all’avanguardia, e la forma che aveva assunto il Triangolo era la più giusta e logica per quella determinata tecnologia. Oggi i tempi sono cambiati: l’estetica non può prescindere dall’etica. Il valore aggiunto va trovato nella riciclabilità dei materiali – l’alluminio ad esempio – e nella mano esperta di un artigiano-artista. Ovviamente la produzione contemporanea ha le sue sfide. Tu come hai affrontato l’ingegnerizzazione di un progetto libero e complesso come Triangolo?
MR La combinazione di complessità-libertà è azzeccata. Dietro l’aspetto giocoso, Triangolo infatti nasconde un’identità ingegneristica. Dopo una lunga fase di sperimentazione e sviluppo, ho sostituito il legno del prototipo originario con sottili lamiere di ferro ripiegato, mantenendo lo spessore originale di due centimetri. Il prodotto era funzionante, ma non rispettava i nostri canoni estetici. Continuando la prototipazione, siamo passati a lamiere compatte di alluminio, riducendo lo spessore a soli quattro millimetri. Il risultato è una soluzione scultorea, leggera e allo stesso tempo stabile e resistente, adatta non solo alla casa, ma anche agli spazi pubblici e al contract, sia indoor che outdoor. L’uso del metallo aggiunge una componente importante di attenzione all’ambiente che abbiamo in tutti i nostri prodotti: li realizziamo sempre a partire da risorse parzialmente riciclate e sono interamente riciclabili al termine del ciclo di vita dell’oggetto (che speriamo sia il più lungo possibile). Le tue architetture spesso sono descritte come opere radicali, capaci di fondere paesaggio e struttura in un gesto tanto semplice quanto enigmatico. Triangolo ha seguito lo stesso approccio radicale delle tue architetture?
IP Per me tutta l’architettura si esprime nel gesto unico e semplificato al massimo. Design e architettura sono però due temi e due scale completamente diversi. Solo il punto di partenza è lo stesso: la sfida, il problema ben posto da risolvere. Ma un conto è fare architettura e un conto è fare un oggetto. L’una contiene possibili scenografie, l’altro può conformare più scenografie possibili – e più ci riesce e meglio è. L’architetto è il regista di tutto questo, che coordina e stimola spunti di riflessione. Deve opporsi con tutta la sua forza alle specializzazioni – oggi sempre più di moda – e immaginare spazi e oggetti non muti e immobili, ma aperti al cambiamento. Abbiamo dimenticato che l’architettura è la madre di tutte le arti e che l’architetto non disegna solo un oggetto o uno spazio, ma è anche inventore e ingegnere; è ora di rivendicare con orgoglio queste verità! Tu, Marco, come pensi che Triangolo si inserisca nel linguaggio di RIPA?
MR Alla perfezione, direi, perché ha tutte le qualità alla base del nostro design: essenzialità formale, intelligenza costruttiva, apertura progettuale e capacità relazionale. Triangolo è un sistema che non impone una soluzione definitiva, ma suggerisce diverse possibilità, accompagnando le necessità di chi lo utilizza. Ci piace questa idea di relazione, di mobili che, letteralmente, si muovono nello spazio e verso le persone. In Triangolo, in più, anche il colore diventa uno strumento di personalizzazione: si possono scegliere moduli della stessa tonalità tra le dieci a disposizione, oppure accostare finiture diverse per accentuare i singoli elementi. Tu ovviamente hai passato una vita a studiare materiali, forme e spazi. Guardando indietro, cosa rappresenta per te questo progetto?
IP Per me è la speranza di tirare fuori dal cassetto tante altre idee, trasformando il mio archivio in un progetto continuo. E tu, cosa ti aspetti che Triangolo rappresenti per RIPA nel futuro?
MR Spero che diventi il compagno di vita di tante persone. Mi piacerebbe anche che segnasse un precedente: un segnale di apertura verso collaborazioni anche fuori dagli schemi del mercato. Autentiche e sincere. Triangolo non è solo un tavolo, è anche il racconto di un incontro e di una fiducia reciproca. Rappresenta tanto del mio modo di essere e di lavorare. Tu che hai studiato e iniziato a progettare negli anni Sessanta, in un contesto anche umano di grande fermento, mi racconti come questo ha influenzato la tua visione dell’architettura?
IP Ricordo ancora l’entusiasmo di allora per un futuro che sembrava fantascientifico e che oggi è diventato realtà. Purtroppo, più mi guardo intorno e più mi rendo conto che gli architetti hanno abbandonato l’idea di utopia. Così utile all’epoca e così realizzabile oggi, è diventata qualcosa di superfluo che nessuno affronta fino in fondo o con lo stesso fervore di quando ho iniziato la professione. Un fervore che però vedo vivo nel modo in cui affronti il tuo lavoro. È proprio per questo che è stato un piacere incontarti e lavorare insieme a te, Marco.
MR Mio di conoscerti, e di aver potuto dare forma alle tue idee.
