«Poi forse, e anche per altre vie – verrà l’arte»
Giancarlo De Carlo
È difficile scrivere su Giancarlo De Carlo, per più ragioni. Innanzi tutto perché è ancora in piena attività creativa e ogni discorso che lo riguarda non può avere il distacco storico necessario per meglio valutare il suo percorso intellettuale; poi perché quel percorso si sviluppa ininterrottamente da sessant’anni, sempre a livelli molto alti e complessi, non riducibili a una idea, a una forma, a un contenuto unitario. È un po’ il problema che gli storici si trovano di fronte quando affrontano i creativi artisticamente longevi (siano essi architetti o artisti o musicisti), un rompicapo sia per chi ne ricerca l’unità di percorso, sia per chi si propone di rappresentarne la complessità. E De Carlo, come si diceva prima, è ancora attivo, scrive, progetta, costruisce, viaggia.
Ma c’è un’altra difficoltà, ben più sostanziale, di cui dobbiamo tener conto: la vastità e complessità del suo lavoro, svolto in più campi disciplinari, con diversi strumenti, molteplici connessioni, testi aperti a più livelli di lettura. Ogni tentativo di scendere in profondità rischia di risolversi o nel fardello del troppo informare, che impiomba la comprensione, o nella leggerezza del poco dire, che ci fa galleggiare in superficie. Di fatto, De Carlo vive la contraddittoria situazione di chi è spesso rimosso perché è troppo presente, di chi è presente proprio perché rimosso. Questo avviene vuoi per la sua difficilmente collocabile identità, vuoi perché è stimato ma non sempre amato dagli altri architetti.
La sua opera non è collocabile in un gruppo, non c’è una sua architettura che emerga unica e «identitaria». Come ha notato Marco De Michelis nell’affrontare, seppur parzialmente, la biografia intellettuale di De Carlo, questi non ha mai formulato una teoria sistematica dell’architettura urbana sulla quale, da versanti diversi e anche opposti, si sono cimentati in tanti alla fine degli anni Sessanta, da Rossi ad Aymonino, da Gregotti a Benevolo e Cervellati, a Caniggia1. Si potrebbe concludere, forzando un po’ la mano, che in generale non esiste un De Carlo sistematico: le cose nascono si concludono in lui e con lui, rinnovandosi ogni volta.
Giorgio Ciucci
Figure e temi nell’architettura italiana del Novecento
Da Gigiotti Zanini a Vittorio Gregotti
a cura di Guia Baratelli
Quodlibet 2023
Collana Habitat
i aggiunga, a tutto ciò, che De Carlo ha affidato i suoi ricordi e l’interpretazione della sua opera a numerose interviste, dalle quali emerge l’intreccio fra scelte ideali, impegni professionali, aspetti personali, in un rincorrersi di vicende, nomi, giudizi, amicizie, valutazioni, commenti. Negli ultimi trent’anni, De Carlo ne ha concesse una trentina di interviste, e forse il conto è per difetto. Si può anche affermare che molti scritti su di lui sono, direttamente o indirettamente, da lui stesso influenzati (un po’ lo è anche questo saggio). Fra le interviste, spicca quella rilasciata nel 2001 a Franco Bunçuga e pubblicata in volume2, che potremmo considerare, di fatto, una autobiografia, come autobiografico è il libro Il progetto Kalhesa, del 1995, di Ismé Gimdalcha, appunto «io sono GDC», Giancarlo De Carlo. Interviste e libri in codice, da decifrare, viaggi dentro sé stesso attraversando i luoghi della sua vita nel ricordo delle persone che ha incontrato.
La frase di De Carlo che dà il titolo a questo scritto è tratta un suo intervento del 1958: Poi forse, e anche per altre vie – verrà l’arte. L’arte che non ho mai menzionato finora poiché sono persuaso che l’architettura italiana – e tutta l’architettura moderna nella situazione storica che attraversa la società contemporanea – debba ancora tendere ad altro. A chi volesse rimproverarmi questo silenzio dovrei rispondere con un verso di Bertolt Brecht che riecheggia l’impegno modesto e tenace dei grandi protagonisti della vicenda architettonica moderna: da Morris a Loos, da Gropius a Persico, a Pagano: «Quale epoca! In essa un discorso sugli alberi è quasi un delitto – Poiché nasconde il silenzio su tante malvagità ».
In quel «tendere ad altro» è racchiuso De Carlo. Se qui vogliamo parlare della forma, e dello spazio, è perché la forma è stato l’obiettivo verso il quale si è rivolta la tensione che lo ha da sempre animato. Insomma, la difficoltà è grande e per ora, o per me, forse irresolubile. Quindi, nella continuità temporale del suo percorso intellettuale e nella discontinuità dei frammenti sparsi, si può solo tentare di riproporre la citazione di uno scritto, la lettura di un progetto, un ricordo personale, il titolo di un libro, il confronto con altri architetti, un suo giudizio, una sua esperienza. Avendo come guida solo una traccia, un aspetto particolare, che si sviluppa negli anni: il valore e il significato della forma. Il che non è a sua volta riconducibile ai soli aspetti estetici della sua architettura, ma rappresenta un complesso e articolato sviluppo del suo essere architetto, del suo particolare modo di intendere l’architettura, nel quale ritroviamo il rifiuto del formalismo e il valore sociale della forma, la riscoperta della forma come componente essenziale del fare architettura e la forma come sintesi delle arti. Con l’avvertenza che De Carlo ha rivelato di non aver pudore nei confronti della forma, ma solo della bellezza. Con il dubbio se non dobbiamo, nel suo caso, associare, quando non sostituire, alla forma anche lo spazio e la luce. E con la consapevolezza che, parlando della forma, rischiamo sempre di limitare i molteplici significati espressi dalle sue opere, non ultime quelle letterarie.
Gilles Clément
Il giardino in movimento
Traduzione di Emanuela Borio
Quodlibet 2023
Collana Habitat
Trent’anni dopo la sua prima pubblicazione, Il giardino in movimento racchiude ancora in sé diversi gradi di leggibilità: è una guida per il giardiniere, è un trattato di filosofia della natura, è un resoconto letterario delle esperienze che Gilles Clément (paesaggista, ingegnere agronomo, botanico ed entomologo) ha fatto interagendo con la natura. E parte non secondaria dell’importanza di questo libro sta nell’imponente apparato di immagini che lo stesso autore ha raccolto a corredo del suo racconto. È per questo che, in linea con le idee qui esposte, il libro è continuamente aggiornato proprio per illustrare come «fare il più possibile con e il meno possibile contro la natura». Non un manuale o un prontuario, dunque, non si tratta di precetti o prescrizioni, ma un vero e proprio viatico, la scorta di provviste per il viaggio attraverso quello che Clément ama definire – nel quadro di una analisi che spesso mostra anche i limiti dei concetti tradizionali dell’ecologia – il giardino planetario.
Giovanni Rocco Cellini
Spazio tra
Un tema per modificare il costruito
Quodlibet 2023
Collana Città e paesaggio. Saggi
Trent’anni dopo la sua prima pubblicazione, Il giardino in movimento racchiude ancora in sé diversi gradi di leggibilità: è una guida per il giardiniere, è un trattato di filosofia della natura, è un resoconto letterario delle esperienze che Gilles Clément (paesaggista, ingegnere agronomo, botanico ed entomologo) ha fatto interagendo con la natura. E parte non secondaria dell’importanza di questo libro sta nell’imponente apparato di immagini che lo stesso autore ha raccolto a corredo del suo racconto. È per questo che, in linea con le idee qui esposte, il libro è continuamente aggiornato proprio per illustrare come «fare il più possibile con e il meno possibile contro la natura». Non un manuale o un prontuario, dunque, non si tratta di precetti o prescrizioni, ma un vero e proprio viatico, la scorta di provviste per il viaggio attraverso quello che Clément ama definire – nel quadro di una analisi che spesso mostra anche i limiti dei concetti tradizionali dell’ecologia – il giardino planetario.
Carlo Aymonino
Progetto Città Politica
a cura di Orazio Carpenzano, Federica Morgia, Manuela Raitano
Quodlibet 2023
Collana DiAP PRINT
Carlo Aymonino, architetto, docente di Composizione Architettonica e Urbana, rettore allo IUAV di Venezia, assessore per gli Interventi sul Centro storico di Roma, presidente dell’Accademia di San Luca è stato un protagonista dell’architettura italiana del secondo Novecento. Il volume raccoglie la sintesi di una serie di iniziative curate da un gruppo di docenti DiAP e volte ad aprire una discussione sull’eredità attiva dell’opera del maestro romano nel panorama architettonico contemporaneo e nel rapporto con le giovani generazioni. I saggi, suddivisi in tre capitoli illustrati da una selezione di schizzi autografi dell’architetto, si alternano ai ventisette disegni redatti per Carlo da altri autori, anch’essi divisi in tre blocchi. Si viene a costruire, così, una narrazione intrecciata, rapsodica, libera ed evocativa, in sintonia col temperamento dell’autore cui queste pagine sono dedicate.
La fabbrica diffusa
Produzione e architettura a Cesena
a cura di Francesco Gulinello,
Elena Mucelli, Stefania Rössl
Volumi fotografici di Michele Buda, Francesca Gardini, Guido Guidi
Francesco Raffaelli, Massimo Sordi
La fabbrica diffusa presenta i contenuti di una ricerca dedicata alle trasformazioni del territorio cesenate dall’Unità d’Italia alla contemporaneità, interpretando l’evolversi del sistema produttivo come elemento in grado di influenzare con forza e incisività i cambiamenti della città e del territorio. La scelta di una sequenza dichiaratamente cronologica non rinuncia all’intreccio delle relazioni fra elementi che attengono a contesti differenti ma inevitabilmente connessi. Eventi storici, a scala locale ma anche nazionale e internazionale, fatti istituzionali, in particolare legati all’organizzazione della produzione, e mutamenti fisici, relativi a progetti e realizzazioni a scala urbana e territoriale, costruiscono una continua tensione dialettica, incrociando costantemente la linea del tempo che accompagna le quattro sezioni temporali in cui si organizza il racconto. Cinque volumi fotografici si affiancano al percorso di ricerca, proponendo una narrazione visiva plurale del territorio (Guidi, Gardini, Raffaelli, Sordi, Buda). Ognuna di queste cinque campagne fotografiche si focalizza su alcune aree strategiche del territorio cesenate come punto di partenza per una riflessione più ampia sulla relazione tra fotografia e paesaggio contemporaneo.