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Victor J. Papanek Design per il mondo reale

Mappe °18


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Fra tutte le professioni, una delle più dannose è il design industriale.
Forse, nessuna professione è più falsa. Il disegno pubblicitario, che tende a persuadere la gente ad acquistare cose di cui non ha bisogno, con denaro che non ha, allo scopo di impressionare altre persone che non ci pensano per niente, è forse quanto di più falso oggi possa esistere. Subito dopo arriva il design industriale, che appronta le sgargianti idiozie propagandate dagli esperti pubblicitari. Non era mai accaduto prima d’oggi che individui adulti si mettessero seriamente al lavoro per progettare spazzole elettriche per capelli, schedari per ufficio foderati di cristallo di rocca e tappetini da bagno in visone, e preparassero poi programmi per produrre e vendere a milioni di persone aggeggi di tal fatta. Nel bel tempo perduto, se a una persona piaceva uccidere doveva fare il generale, o acquistare una miniera di carbone, o studiare la fisica nucleare; oggi invece la progettazione industriale ha portato il delitto al livello della produzione in serie. Con la progettazione di automobili criminalmente infide, che uccidono o storpiano quasi un milione di persone l’anno in tutto il mondo, con la creazione di intere categorie di indistruttibili rifiuti che deturpano il paesaggio e con la scelta di materiali e processi di lavorazione che inquinano l’aria che respiriamo, i designer sono diventati una razza pericolosa.

E naturalmente con grande cura s’insegnano ai giovani le tecniche richieste per le diverse attività. In un’epoca di produzione in serie, in cui ogni cosa deve essere programmata e pianificata, il design è divenuto il più potente mezzo attraverso il quale l’uomo modella i suoi strumenti e il suo ambiente naturale (e, per estensione, la società e sé stesso). Questo fatto implica una grande responsabilità sociale e morale da parte del designer. Richiede anche una maggiore comprensione degli altri da parte di coloro che praticano la progettazione, e più capacità conoscitiva di fronte al processo progettuale da parte dell’opinione pubblica. Nel febbraio 1968 la rivista «Fortune» pubblicò un articolo che presagiva la fine della professione del designer. I progettisti, come ci si poteva aspettare, reagirono con sdegno e preoccupazione. Ho la sensazione, però, che le principali argomentazioni sostenute nell’articolo siano valide. Pare stia giungendo l’ora in cui la progettazione industriale, come la conosciamo adesso, dovrà cessare di esistere. Fino a quando la progettazione industriale si occuperà di confezionare volgari «giocattoli per adulti», automobili micidiali con le loro pinne belle lucenti, oppure «sessualizzate» custodie per macchine da scrivere, tostapane, telefoni e calcolatori elettronici, avrà perduto infatti ogni ragione di esistere. Il design deve diventare un mezzo interdisciplinare innovatore, altamente creativo, capace di rispondere ai veri bisogni dell’uomo. Deve essere orientato più specificamente verso la ricerca, e noi dobbiamo smettere di sporcare la terra con oggetti e strutture mal disegnati.

Victor J. Papanek
Design per il mondo reale
Ecologia umana e cambiamento sociale

Quodlibet 2022
Collana Saggi
a cura di Alison J. Clarke, Emanuele Quinz

Poiché le biciclette sono utili come mezzi di trasporto nel Terzo Mondo, è stato progettato un portapacchi che può essere rovesciato e usato come generatore d’energia. Può essere costruito in un villaggio con mezzi assai modesti. Progettato da Michael Crotty e Jim Rothrock, studenti della Purdue University.
p. 234

Un’altra versione di un veicolo sperimentale a forza muscolare. Progetto di uno studente di Stoccolma.
p. 235

Gianni Pettena
Tutto, tutto, tutto… o quasi / Absolutely Everything… or Almost

a cura di Pino Brugellis, Alberto Salvadori, Elisabetta Trincherini

Volume in lingua italiana e inglese Quodlibet 2022
Collana Habitat

Gianni Pettena è stato uno dei fondatori dell’architettura radicale fiorentina degli anni Sessanta e Settanta insieme con Archizoom, Remo Buti, 9999, Superstudio, UFO e Zziggurat, verso i quali ha sempre mantenuto una posizione autonoma. Oltre a criticare il funzionalismo modernista, a frequentare le gallerie, gli artisti e i critici legati a quella stagione, si è distinto per una sua deliberata riottosità progettuale. Per questo può essere considerato L’anarchitetto, per citare il titolo del suo primo libro. In quest’ottica va inquadrata la sua esperienza giovanile negli Stati Uniti e l’assidua frequentazione di (an)architetti come Buckminster Fuller o James Wines, attenti all’ecologia, alle periferie e al “rendere significanti luoghi insignificanti”. Più in generale l’unicità del suo lungo lavoro, anche sul piano storico, consiste nel rifiuto dei codici e canoni consueti della progettazione, nella realizzazione di interventi temporanei e in una costante ricerca di alleanze con l’arte concettuale, il radical design austriaco, la land art e la musica sperimentale. Il volume documenta tutto, o quasi, il suo lavoro e ospita un’ampia antologia dei suoi testi.

Alberto Rosselli
Architettura design e «Stile Industria»

a cura di Paolo Rosselli con Elisa Di Nofa, Francesco Paleari

Quodlibet 2022
Collana Habitat

Figura di spicco della cultura architettonica del Novecento, Alberto Rosselli (Palermo 1921 – Milano 1976) ha attraversato il secolo breve dedicandosi alla progettazione «non tanto dell’oggetto, che costituisce il momento più caduco e relativo del design, quanto dell’ambiente nel suo senso più generale». In una prima fase si è impegnato in ricerche e iniziative corali nello Studio Ponti-Fornaroli-Rosselli, fondando con altri l’Adi, il premio Compasso d’Oro e la rivista di culto «Stile Industria», da lui diretta lungo tutto il periodo in cui è stata attiva (1954-1963), nella quale si esaminavano criticamente i pilastri del Made in Italy (design, packaging, grafica). In seguito si è dedicato all’insegnamento universitario nell’alveo della «cultura politecnica» milanese e all’attività di designer. Questo volume ricostruisce l’intera opera di Alberto Rosselli fra architettura, ricerca e design, rendendo direttamente accessibili tutti i suoi scritti apparsi su «Stile Industria» e una ricca selezione di documenti e immagini d’archivio in larga parte inediti.

Gianni Pettena
Tutto, tutto, tutto… o quasi / Absolutely Everything… or Almost

Quodlibet 2022
Collana Città e paesaggio. Saggi

Cinque oggetti di studio situati in diverse parti della penisola (Brianza, Reggio Emilia, Roma, Pesaro, Torino) vengono sottoposti a un’osservazione ravvicinata, il cui fuoco non si colloca però dentro i singoli luoghi, quanto piuttosto nelle vicende che li attraversano, portando in primo piano lo spazio di risonanza che li unisce e li separa. Categorie interpretative consolidate, come quelle basate sull’opposizione tra pubblico e privato o tra autoriale e anonimo, vengono provvisoriamente poste in parentesi da una lettura che insiste sul ruolo degli attori progettuali (tra gli altri, Osvaldo Piacentini, Vico Magistretti, Carlo Aymonino, Ludovico Quaroni), sullo studio dei processi e sulla circolazione trasversale degli immaginari. Un libro narrativo nel suo incedere, argomentativo nel suo impianto, che indaga i modi attraverso i quali le storie dell’architettura, del territorio e del paesaggio possono costruire forme di generalizzazione capaci di non perdere il senso dei luoghi e di rinnovare le ragioni della propria dimensione pubblica.

Non-finito
I Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia / The Cloisters of Saint Peter in Reggio Emilia. ZAA Zamboni Associati Architettura

a cura di
Andrea Zamboni

Volume in lingua italiana e inglese
Quodlibet 2022
Collana Città e paesaggio

I Chiostri di San Pietro – il più singolare complesso monumentale di Reggio Emilia, recuperato dopo decenni di abbandono grazie al progetto di Zamboni Associati – formano oggi un polo culturale di rilievo internazionale, uno spazio pubblico dove è ancora viva la memoria comunitaria dell’antico monastero benedettino. Cuore concettuale dell’intervento è stato il restauro del Chiostro Grande, opera non finita attribuita alla mano di Giulio Romano. Come rileva Walter Angonese, si è trattato di «una scelta precisa e ponderata nell’evocare un carattere come quello di un vuoto pieno di storia». La valorizzazione del non finito è diventata, in questo senso, la regola metodologica per le altre scelte progettuali, incluse le nuove addizioni e gli spazi aperti. Attraverso la storia del complesso, le attribuzioni artistiche, il racconto del progetto e del cantiere, la nuova campagna fotografica (Alessandra Chemollo, Kai-Uwe Schulte-Bunert, Alessandro Molesini), e infine mediante una lettura dell’opera ultimata, il volume ricostruisce l’intera vicenda architettonica dei Chiostri di San Pietro secondo più punti di vista.

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