Aspetti biografici – La tua famiglia ha un rapporto molto speciale con l’Italia, e in particolare con la città di Jesi, motivo per cui abbiamo voluto portare la tua opera nelle Marche, e a immaginare, con gli studenti delle scuole, il futuro di alcune aree della città. Raccontaci la storia della famiglia Mazzanti e i motivi che legano la tua famiglia all’Italia.
GM – Il 27 agosto del 1891, nella città di Jesi, la professoressa Willelmina Albanesi e il sarto Giovanni Mazzanti ebbero un figlio: Spartaco Mazzanti. Nella sua giovinezza Spartaco abitò nelle mura della città, camminò per i vicoli e respirò l’aria medievale della sua città natale. Fino ad allora, tutti erano stati sarti in famiglia. Spartaco fu il primo ad andarsene per studiare. Frequentò la facoltà di Economia e Diritto presso l’Università Ca’ Foscari a Venezia, dove iniziò a lavorare per il Gazzettino di Venezia, fino a quando la Prima Guerra Mondiale gli presentò una nuova vita. Si arruolò come volontario dalla parte dei ‘Cafoscarini’, con i gradi di capo maggiore, tenente e capitano, combatté la battaglia di Caporetto, e fu prigioniero di guerra nel territorio dell’Impero Austro-Ungarico. Tornato dalla guerra, Spartaco si laureò come dottore di Economia e Diritto e dall’Italia si spostò in Francia, dove iniziò a lavorare per la Banca Francese Italiana per l’America del Sud, una banca con molte sedi in America Latina. Qui conobbe Marguerite Valentine Thiault Perne: fu amore a prima vista. Si sposarono dopo quattro anni dal loro primo incontro, e a breve si spostarono a Bogotà, in seguito all’offerta di Spartaco di fondare una filiale nella capitale della Colombia, e dopo qualche anno si trasferirono a Barranquilla.
All’alba del XX secolo, quando in Europa si menzionava la Colombia, gli europei dicevano che era il paese dell’avventura; poiché conoscevano di questo paese lontano solo le misteriose giungle, i fiumi impetuosi, le montagne innevate dove si produceva caffè, e le rivoluzioni tra partiti politici erano frequenti e cruenti. Anche se la Colombia non ha aperto le sue frontiere ad una nutrita immigrazione, come è avvenuta in altri paesi d’America, gli europei che arrivarono nel paese furono ben visti e apprezzati. L’emigrazione italiana, anche se quantitativamente non fu molto rilevante, qualitativamente rappresentò un ruolo importante nello sviluppo sociale ed economico del paese. Barranquilla, città portuaria sita al nord della Colombia e bagnata dal Mar Caribe, era molto diversa da Bogotà. Era calda, allegra, sempre in festa, tra la brezza e i colori caraibici, accanto al Rio Grande della Magdalena, a un’ora dalla sua foce e dal mare. Qui, si svolge il resto della storia: i figli di Spartaco e Marguerite ebbero a loro volta figli e nipoti. In questa famiglia, è nato Giancarlo Mazzanti, figlio di Alessio, cresciuto in questa città del vento, del fiume e del carnevale.
Lo studio – I tuoi interessi e ambiti di ricerca prendono un ampio spettro di indagine, che tu sviluppi in varie modalità che affiancano il progetto architettonico, dall’insegnamento alle attività con le comunità locali. La tua attività può essere articolata in tre “anime”: Mazzanti arquitectos, Fundacion horizontal e Jardin parlante. Parlaci di questa modalità plurale e molteplice di affrontare il progetto.
GM – Credo fermamente nella pratica dell’architettura come attività aperta e collettiva. Per questo il nostro lavoro è di tipo orizzontale, sia all’interno del team di architetti dello studio, che con le discipline che partecipano ai processi progettuali come urbanisti, artisti e sociologi. Ma, affinché questa pratica sia veramente aperta, il confronto, la trasgressione dei limiti e il mettersi in discussione sono ugualmente importanti, sia nella fase di sviluppo che in quella di feedback. Per questo allo studio di progettazione architettonica è stato affiancato il Jardin Parlante: come spazio di discussione libera e partecipata, che ho sviluppato anche nel mio ruolo di docente. D’altra parte, la partecipazione ad alcuni progetti talvolta richiedeva un ampio punto di vista interdisciplinare: la Fundación Horizontal si presenta dunque come uno spazio in cui vengono proposti progetti con una forte componente sociale, in cui artisti, educatori, sociologi, psicologi fanno parte delle proposte e sviluppo per il benessere delle comunità locali. I tre scenari che compongono El Equipo Mazzanti si integrano senza esitazione, per il loro interesse nel promuovere il benessere civico, la trasformazione sociale e la costruzione di una società competitiva, consentendo uno spazio speciale per ciascuna componente del gruppo.
La mostra di Jesi espone e presenta molti progetti, costruiti e non, affiancando edifici seminali e famosi alle ultime sperimentazioni e ad edifici tuttora in progettazione. Quali sono i temi ed espressioni del tuo lavoro di ricerca che legano i progetti mostrati?
GM – Questa mostra nasce da tre principi molto importanti per il nostro ufficio e che costituiscono le basi di ciò che voglio promuovere con l’architettura che progettiamo in studio, e che sono: gli elementi anomali, i sistemi incompiuti e le atmosfere mutevoli. Queste strategie progettuali mirano a generare interazioni inaspettate negli utenti, e non direttamente in relazione con le funzioni e con le attività degli edifici. Gli elementi anomali inseriscono, all’interno del progetto, attività non comuni all’interno di un programma funzionale basilare; i sistemi incompiuti permettono l’implementazione di un progetto nel tempo, senza la necessità di ripensarlo ed obbedendo ad una logica non autoriale; infine le atmosfere mutevoli generano spazi liberi d’uso che generano una molteplicità di opzioni e in cui è l’utente che adatta lo spazio alle proprie esigenze, e non viceversa. Per questo motivo nella mostra si può osservare una grande varietà di progetti, poiché non sono classificati in base alla scala, alla posizione o all’estetica. In questo modo è evidente che queste strategie progettuali non sono legate all’uso, sebbene si possa anche percorrere lo spazio trovando usi categorizzati. L’architettura non è solamente rispondere solo a un uso specifico, ma è azione, è il potenziale di generare stili di vita e esperienze degli utenti.
All’interno di questa prolifica storia progettuale possiamo riscontrare un meccanismo evolutivo dell’idea di architettura o le realizzazioni rappresentano temi diversi sviluppati nelle varie occasioni?
GM – Sì, la pratica dell’architettura all’interno dello studio è uno sviluppo costante di idee, dove i progetti si alimentano a vicenda, dove una ricerca in un progetto precedente viene ripensata ed evolve in uno nuovo. Questo perché la pratica dell’architettura è una ricerca costante, in cui le idee vengono testate e consolidate. Lavorando indipendentemente dall’attività o dalla scala di un progetto nel concepire l’architettura come azione, come facilitatore di momenti, di interazioni con l’utente, le medesime strategie progettuali si possono trovare in vari progetti tra loro differenti.
Architettura e città – La tua produzione è fortemente legata all’architettura pubblica e istituzionale, e tutti i tuoi edifici si innestano nel contesto come agenti trasformatori e come nuove polarità in contesti particolarmente fragili e delicati, specialmente nelle tue realizzazioni a Medellin e Bogotà. Come intendi nei tuoi progetti il rapporto con il contesto, e qual è il rapporto con queste due importanti città colombiane?
GM – L’architettura ha effettivamente una capacità trasformativa, che consiste nel riconoscere i bisogni di una comunità e dotarla di uno spazio in cui l’utente non solo soddisfi questi bisogni, ma che permetta anche la sperimentazione. Nel caso della Biblioteca España, la strategia del progetto rispetto al contesto è stata duplice: da un lato – dalla città nei confronti della comunità locale – generare un elemento riconoscibile dalla distanza, caratteristico della montagna. Rendere perciò visibile la comunità in cui si trovava, permettendone la sua riconoscibilità non per i fattori contestuali e sociali negativi ma per il suo potenziale di miglioramento, generando l’interesse del resto della città a conoscere un quartiere precedentemente ignorato. Dall’altro, quello della comunità, dai bambini agli adulti che utilizzeranno l’edificio, questo permette di ‘decontestualizzarli’. Il progetto, infatti, concentrandosi su una visione in lontananza della città, nei suoi spazi interni consente che l’utente al momento dell’ingresso nella biblioteca percepisca uno ‘straniamento’ rispetto al contesto del quartiere in cui si trova, vivendo un’esperienza coinvolgente, dove apprendere senza concentrarsi sui fattori negativi di preoccupazione della vita quotidiana riguardo al tuo ambiente. Noi intendiamo i progetti di strutture pubbliche come trasformatori del contesto: per questo motivo riteniamo che l’edificio pubblico debba costituire un elemento rappresentativo, sia visivamente che spazialmente, e che, essendo aperto a diverse attività, consente di generare buone memorie negli utenti, essendo uno spazio che viene ricordato con apprezzamento.
Parlando della tua architettura si fa sempre riferimento a sistemi, a dispositivi, a prototipi, che tuttavia instaurano forti legami e relazioni con gli utenti; come concepisci nei tuoi progetti la relazione tra architettura, spazio e corpo?
GM – Generalmente quando un utente visita un edificio, si adatta allo spazio di cui dispone. Le attività si sviluppano attorno all’edificio assegnato, mirando all’efficacia dell’attività specifica, senza altro. Cosa succede quando pensi all’architettura in cui è l’architettura stessa a adattarsi agli utenti? Alle loro attività non previste? A ciò che non è funzionale? Si pensa a spazi che consentano il gioco? Quando riflettiamo sull’architettura a partire da questa domanda, giungiamo al sistema e ai dispositivi, poiché consentono di adattarsi agli utenti. L’utente non è più solo uno spettatore, ma può trasformarsi e partecipare alla creazione di uno spazio per sé o per gli altri. Il rapporto tra architettura, spazio e corpi si trasforma da passivo a attivo, diventando dinamico, partecipativo e giocoso.
Scuola – La produzione di scuole e di spazi dell’apprendimento sono un capitolo fondamentale nella tua carriera. Come mai hai all’attivo così tanti progetti di scuole? La tipologia stessa dell’edificio scolastico è di particolare rilevanza a nostro avviso, essendo lo spazio in cui le future generazioni passano la fase di vita più creativa e di formazione, nel senso letterale di ‘prendere forma’. In quali modi, secondo te, l’architettura può essere educativa?
GM – L’interesse per l’architettura educativa è stato una costante nel mio percorso professionale. Osservando l’interazione dei bambini con il loro ambiente e il modo in cui apprendono attraverso questa interazione, è possibile comprendere concetti legati alla pedagogia e al gioco, che costituiscono anche un mio grande interesse. Lo spazio stesso è un ambiente di apprendimento e “l’aula” è stata un argomento costante di riflessione per psicologi, architetti e insegnanti. Questo mi porta a considerare che l’architettura abbia effettivamente un ruolo educativo. In generale, molti progetti architettonici si basano sull’efficienza e sulla produttività, trascurando le esperienze degli utenti e ignorando la sua potenziale capacità educativa. Nelle strutture educative, l’architettura può fungere da “terzo insegnante”. In ufficio, lavoriamo su strategie per organizzare progetti basati sul potenziale di apprendimento anziché sull’efficacia.
Un esempio di ciò è il comportamento dei bambini, che non considerano l’efficienza come un bisogno primario. Essi non attraversano un corridoio solo per raggiungere un punto, ma mentre camminano, osservano e interagiscono con l’ambiente circostante. Creare un’architettura focalizzata sull’esperienza consente al bambino di apprendere dall’ambiente, toccando, correndo, saltando. Non sono interessati al tempo necessario per spostarsi da un punto all’altro; vivono e sperimentano nel viaggio, dando importanza a elementi come la luce e i colori. Le scuole e gli spazi con caratteristiche performative, che includono anche elementi non umani e promuovono la partecipazione tra gli utenti, diventano luoghi che stimolano l’apprendimento al di fuori del curriculum tradizionale. Questa libertà favorisce un apprendimento attivo e partecipativo, rendendolo un’esperienza divertente.
Dall’alto in basso:
Memoriale Monte di Maria;
Scuola dell’infanzia ‘La Ilusiòn’;
MAMBA – Museo di Arte Moderna di Baranquilla;
Prototipo di copertura ‘Barranca’;
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