Nel centenario della nascita di Mario Giacomelli, due importanti esposizioni – Il fotografo e l’artista a Roma e Il fotografo e il poeta a Milano – riportano l’attenzione su una delle figure più intense e originali della fotografia del Novecento. Questi due percorsi, distinti ma intrecciati, offrono una visione d’insieme inedita del lavoro di Giacomelli, esplorando da un lato la sua vocazione visiva e plastica, dall’altro il legame profondo tra immagine e parola, tra fotografia e poesia. La riscoperta di Giacomelli negli ultimi anni, sostenuta da nuove ricerche e da un crescente interesse critico, ha permesso di riconoscere in lui non solo un autodidatta appassionato di pittura e letteratura, ma un protagonista della cultura visiva italiana, capace di attraversare con uno sguardo autonomo e radicale le trasformazioni del linguaggio artistico tra modernità e postmodernità. La sua opera si muove infatti in un territorio di confine, dove si dissolvono i generi tradizionali e la fotografia assume una funzione espressiva autonoma, personale e poetica.

Fin dai suoi esordi, Giacomelli si è distaccato sia dal reportage classico che dalla compostezza del realismo lirico. Con lavori come Vita d’ospizio, rompe le regole imposte dalla fotografia “pura” e tradizionale, utilizzando il flash, manipolando i negativi, sperimentando in camera oscura. La sua fotografia è insieme testimonianza e visione, ancorata al reale ma trasformata in qualcosa di altro: ogni immagine diventa il riflesso di un’esperienza interiore, un gesto artistico capace di trasfigurare la realtà.
La mostra romana
L’esposizione Mario Giacomelli. Il fotografo e l’artista, allestita al Palazzo delle Esposizioni (maggio-agosto 2025), si concentra proprio su questa dimensione pittorica e materica del suo lavoro. La sezione dedicata all’astrazione e alla materia mette in dialogo le sue fotografie con l’opera di artisti come Afro e Burri, suggerendo affinità profonde. Le serie esposte – tra cui Motivo suggerito dal taglio dell’albero, Territorio del linguaggio, Bando – mostrano una fotografia intesa come superficie di scrittura, come campo di intervento creativo. Lo stesso Giacomelli dichiarava di sentirsi più vicino all’informale e all’astratto che non alla fotografia documentaria, e il suo lavoro con i contrasti, le texture e le sovrapposizioni conferma questa vocazione. Il dialogo con Jannis Kounellis approfondisce ulteriormente questa linea: entrambi operano in bilico tra materia e immagine, tra rappresentazione e trasformazione.
Le serie Lourdes, Mattatoio e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi partono da situazioni fortemente drammatiche – la malattia, il dolore, la morte – ma non si fermano al documento: diventano elaborazioni simboliche, visioni spirituali in cui la realtà viene trascesa attraverso l’arte. Anche l’errore, l’imprevisto, la deformazione diventano per Giacomelli strumenti espressivi consapevoli, mezzi per portare la fotografia verso una dimensione più profonda, quasi metafisica. Fulcro della mostra romana è la serie Io non ho mani che mi accarezzino il volto, presentata nella sua integrità in un’installazione immersiva. I giovani seminaristi ritratti da Giacomelli si muovono tra sacro e profano, tra gioco e ritualità, in una coreografia di gesti che trascende la scena quotidiana. È una delle sue opere più celebri e più liriche, capace di fondere immagine, parola e corpo in un’unica espressione performativa. La parte conclusiva dell’esposizione si apre al paesaggio, non più come semplice sfondo ma come protagonista. In dialogo con Enzo Cucchi, Giacomelli esplora uno spazio mentale e simbolico, fatto di materia, memoria e radicamento. Le immagini di Metamorfosi della terra, Presa di coscienza sulla natura e Per poesie mostrano un paesaggio trasfigurato, dove l’uomo si fonde con la terra, con il legno, con i segni lasciati dal tempo e dalla vita.
La mostra milanese
La mostra Mario Giacomelli. Il fotografo e il poeta (Palazzo Reale, maggio-settembre 2025) affronta l’altra grande direttrice della sua ricerca: quella del rapporto con la parola poetica. La fotografia, in questa prospettiva, diventa un linguaggio lirico, una forma di scrittura che racconta il mondo attraverso simboli, evocazioni e frammenti di memoria. Se negli anni Cinquanta e Sessanta l’opera di Giacomelli è legata a contesti precisi – ospizi, campagne, seminari – a partire dagli anni Ottanta il suo lavoro si fa sempre più onirico, frammentario, sospeso. Le immagini non nascono più da progetti strutturati ma da un archivio personale, da una raccolta di fotografie conservate in scatole intitolate “per poesie”, da cui l’artista attinge liberamente per costruire nuove narrazioni visive. In queste serie più tarde, il tempo e lo spazio perdono coerenza lineare e diventano territori poetici da esplorare. Ogni scatto è un simbolo, una vibrazione emotiva, una riflessione sull’umano. Ne sono esempio le serie ispirate a Leopardi (L’Infinito), Corazzini (Bando), Edgar Lee Masters (Spoon River) e Montale (Felicità raggiunta, si cammina), che fondono parola e immagine in un canto visivo di grande intensità. L’incontro con Francesco Permunian rappresenta un caso unico di dialogo diretto tra Giacomelli e un poeta vivente: le serie Ho la testa piena, mamma e Il teatro della neve sono frutto di un confronto creativo profondo, un racconto condiviso sull’elaborazione del lutto e la potenza trasfigurante dell’arte. Entrambe le mostre si chiudono con spazi immersivi che restituiscono la voce di Giacomelli, intrecciata alle sue immagini. L’esposizione della sua camera oscura e dei suoi strumenti di lavoro restituisce infine la dimensione artigianale e quotidiana di una pratica che ha saputo trasformare l’umiltà della materia in una delle esperienze più alte e toccanti della fotografia contemporanea.
Bartolomeo Pietromarchi



L’Archivio Mario Giacomelli
Nel centenario della nascita di questo grande artista di cui si ha la meravigliosa responsabilità di proteggere, conservare e valorizzare, l’Archivio Mario Giacomelli ha voluto restituire, con un grande progetto espositivo ed editoriale, la complessità del suo operato creativo la cui originalità ha ridefinito i confini del linguaggio fotografico. L’archivio ha voluto altresì restituire, attraverso l’allestimento delle mostre e la struttura del libro, la personalità di un uomo che non ha mai smesso di cercare il modo di esprimere la vastità della dimensione umana. Palazzo delle Esposizioni di Roma e Palazzo Reale di Milano ospitano due grandi mostre diverse tra loro (per tema e allestimento) e complementari, a offrire uno sguardo completo sulla fotografia di Mario Giacomelli. Dopo anni di ricerca sulla sua opera e sui materiali documentari conservati in archivio, il progetto finalmente ha preso forma grazie alla preziosissima sinergia tra l’Archivio Mario Giacomelli e Bartolomeo Pietromarchi, che con la sottoscritta è co-curatore delle due mostre.
La fotografia come racconto
Nel pensare a un allestimento che potesse essere fedele alla visione dell’arte e della vita di Giacomelli e che potesse mettere in scena tutta la sua forza espressiva, da curatori il nostro primo quesito è stato: come presentare un artista che usava la fotografia mettendo in crisi le regole stesse della fotografia? e che diceva “Io non sono un fotografo, non so farlo, sono solo uno che cerca godimenti”, “la fotografia è lo specchio della mia interiorità”, “io non fotografo le cose, ma le energie che passano tra il mondo e la mia anima”.
Con estrema attenzione filologica nello sviluppo del progetto, siamo partiti dal fulcro della sua visione: il suo considerare il corpus fotografico come Unità, per cui le singole fotografie risultano interconnesse tra loro come parte di un tutto, frammenti vividi di un sistema organico in continua revisione. Questo ci ha spinti a considerare un allestimento che mettesse in scena questa unità e che riproducesse la concezione di una “fotografia come racconto”: il percorso non segue necessariamente un ordine cronologico o una netta divisione in serie, ma procede per assonanze, corrispondenze, innesti, facendo risuonare la portata informale, performativa e onirica della produzione giacomelliana. Ogni elemento di questo tutto è specchio dell’interiorità del fotografo, che considera la sua arte come occasione di presa di coscienza, di vera presenza, e fotografa un mondo che prende forma dallo sguardo di chi lo guarda. Per questo dice “le mie fotografie non vanno capite ma interpretate”, chiedendo allo spettatore di fare altrettanto, richiedendo partecipazione, per accogliere in sé, sia fotografo che spettatore, lo spettacolo dell’epifania di una realtà vissuta dal di dentro.
L’Archivio gioca un ruolo essenziale nella restituzione critica di un autore la cui eredità è ancora oggi materia viva di ricerca e ispirazione, permettendo alle generazioni presenti e future di avvicinarsi a Giacomelli non solo come a un grande fotografo ma come a un artista che ha saputo parlare al cuore del novecento e oltre. L’augurio è di innescare nuove letture e nuove interpretazioni, come avrebbe voluto Mario Giacomelli.
Katiuscia Biondi Giacomelli



Il fotografo e il poeta, Palazzo Reale Milano. Ph. Alessandro Betti, Creation