La mostra dei lavori di Enzo Cucchi ospitata alla Galleria Giustini/Stagetti di Roma è un passaggio piccolo ma importante di questa fase della carriera dell’artista marchigiano-romano. La mostra consiste di 22 ceramiche di dimensioni non superiori ai 40/50 centimetri variamente trattate e tre sculture verticali alte poco più di due metri. La combinazione di due tecniche (e geometrie) così diverse è apparsa come una strategia particolarmente appropriata rispetto all’intento artistico di Cucchi in questa esposizione. Le terrecotte, prodotte appositamente per questa mostra, sono molto presenti nel lavoro recente dell’artista. Cucchi le usa come un dispositivo plastico e semantico dotato di grande potenzialità. Incarnano molte delle sue infinite passioni, curiosità, interessi.
La natura materiale di ceramica e terracotta ci riporta immediatamente al legame dell’artista con le sue origini e con una terra, quella marchigiana, punteggiata da mille fornaci e dove per secoli quasi ogni edificio era costruito con tegole, mattoni, mostre e decorazioni realizzate appunto lavorando l’argilla. Le Marche quindi ma anche la passione di Cucchi per l’architettura, per la capacità di architetti e designers – almeno i designers con i quali ha voluto lavorare – di combinare materiali e spazio, esattamente come fa lui in questa mostra. L’argilla, smaltata o meno, si presta anche al gusto di Cucchi per miscelare nella stessa figura parti opache e parti smaltate, colori naturali e inserti tinti con varianti rumorose di gialli, azzurri, nero.
La terracotta infine è duttile e disponibile a ogni combinazione di forme, accetta senza fatica gli animali, i teschi, gli scheletri le forme che le vengono aggiunte, sopporta i salti di scala che piacciono a Enzo, è astratta e figurativa allo stesso tempo proprio come l’autore che in questo caso la lavora. Le tre sculture in stucco presenti nella mostra, bianche, popolate anche loro di inserti – in questo caso “anatomici”- come le altre opere esposte, sono invece quanto di più vicino a un autoritratto Cucchi voglia concederci: ieratiche e bianche, alte e slanciate, piene di pensieri strani, pronte a incorporare lacune e aggiunte. Probabilmente servono anche ad aiutare il visitatore a riconnettere il lavoro che Cucchi fa con la ceramica con il resto della sua opera plastica, pittorica e spaziale, ma comunque sempre attratta dalla scrittura e dalle parole.
Naturalmente ogni mostra è fatta di un contenuto artistico e di uno spazio specifico dove viene allestita. In questo caso si tratta della preziosa galleria di Roberto Giustini e Stefano Stagetti in via Gregoriana a Roma. Lo spazio è candido, lungo e stretto, ed è stato quasi sempre dedicato agli esperimenti più avanzati e artistici dei designers contemporanei. Roberto e Stefano si allontanano raramente dall’élite internazionale del disegno industriale e dell’oggetto: Grcic, Enzo Mari e Fratelli Campana, Forma Fantasma e Van Duysen. Deviano lievemente verso l’architettura con i lavori bellissimi di Umberto Riva e si avventurano nel territorio dell’arte in pratica solo con Cucchi, il più spaziale dei pittori. Non a caso sia Cucchi che Riva sono fortemente attratti dalla misura dell’oggetto e della presenza artistica nello spazio domestico. Nello spazio di via Gregoriana la natura di white box allungata della galleria è “disturbata” da pochi ma significativi elementi: un pilastro quadrato al centro, la scala che sale verso il soppalco, il soffitto più basso nella parte più interna.
Nella mostra si è scelto di non considerare questi elementi come eventi estranei o disturbanti ma di incorporarli come protagonisti del display, presenze pronte a interagire con la sequenza delle opere esposte. Non ci sono basi, tavoli o elementi appesi, le piccole sculture in terracotta sono quasi tutte disposte su un “muro” alto circa 1,20 che si muove intorno al pilastro, esasperandone la presenza piuttosto che cercare di occultarla. Allo stesso modo una delle ceramiche si arrampica sul muro che separa la scala dalla sala espositiva, mentre la distribuzione nello spazio delle sculture verticali sembra voler enfatizzare la differenza di altezza delle due aree della galleria. La mostra Etruschi..E, Egiziani si è sovrapposta per qualche settimana con la bellissima antologica Enzo Cucchi Il poeta e il mago esposta al MAXXI e curata da Luigia Lonardelli e Bartolomeo Pietromarchi. Il cortocircuito era decisamente interessante: da un lato una mostra maggiore, capace di raccontare nel suo insieme il lavoro di un maestro impossibile da associare a una tecnica, a una forma espressiva, a questa o quell’epoca, una specie di migrante della narrazione visiva e spaziale. In via Gregoriana, a scala decisamente minore, c’è stata invece la possibilità di isolare uno dei modi di produrre di Cucchi e di guardare all’insieme del suo lavoro attraverso una lente a un tempo specifica e risolutiva.
Foto Omar Golli