C’è un interessante legame che unisce gli spazi della produzione al territorio. Non è il naturale rapporto biunivoco tra terra e lavoro, o tra prodotti locali e luoghi della trasformazione. Non è neanche la relazione sociale che intreccia storie personali di una comunità, a condensatori da cui la comunità dipende, sia in termini economici che di immaginario collettivo. È un legame ontologico tra spazio e luogo; tra volume – di grandi dimensioni – e paesaggio. I progetti che affrontano il tema della produzione, sia in termini di nuova costruzione che di riciclo di patrimonio industriale esistente, dovrebbero essere letti attraverso questa lente: dispositivi in grado – o non in grado – di tessere una conversazione stimolante con il paesaggio, in termini fisici, percettivi e/o metaforici. Il territorio marchigiano è la perfetta cartina al tornasole che esalta il salto di scala e pone questi grandi spazi in diretta connessione con elementi capaci di reggere questo dialogo: le colline, le valli, le grandi infrastrutture, i fiumi, il mare. In questo gioco, l’involucro diventa il limite tra lo spazio interno, con le sue rigide logiche funzionali, e il luogo in cui si pone. Un diaframma bidimensionale capace di riprodurre icone a scala territoriale, la cui dimensione è tale da influenzare l’immagine del paesaggio stesso e plasmare i ricordi di chi quei luoghi li vive.

La linea continua a zigzag che disegna la facciata della fabbrica Mondadori nella Valle del Tronto, il muro bianco ritmato da piccole bucature di HENRYTIMI Manifattura che costeggia la superstrada della Val di Chienti, o lo scheletro dell’ex FIM che segna inequivocabilmente il lungomare di Porto Sant’Elpidio, sono casi emblematici in cui la dimensione paesaggistica entra in risonanza con il progetto. Maschere che nascondono la matrice produttiva dello spazio interno, nato in risposta a esigenze di efficienza, dietro a forme compiute ed espressive. Struttura, tracciati regolatori, materiali, diventano lo strumento in mano al progettista per comporre in un unico gesto il prospetto. Da questo punto di vista non c’è differenza tra vecchio e nuovo, tra tabula rasa e riciclo. La facciata è comunque un foglio – bianco o già scritto – sopra cui far convergere istanze comunicative diverse: dal desiderio di farsi notare alla volontà di legarsi agli elementi del paesaggio.