Cristiana Colli – L’Ente Olivieri è un mondo di mondi che trattiene lingue e linguaggi, reperti, documenti e cimeli che vanno dall’archeologia all’arte alla filosofia, dalla fotografia al libro al manoscritto. Un patrimonio custodito in un edificio affascinante dove regna la filologia anche degli apparati espositivi. Qual è l’identità con cui l’Ente si offre alla conoscenza, allo studio e alla contemplazione?
Fabrizio Battistelli – Senza nulla togliere al segno contemporaneo (e all’apprezzabile funzionalità che spesso vi si accompagna), un palazzo patrizio iniziato nel XVII secolo e terminato nel secolo successivo è uno spazio adatto per un percorso nel Tempo come quello che propongono la Biblioteca e i Musei Oliveriani. Ha anche un significato che nel palazzo Almerici abbia abitato un ramo degli Olivieri, la famiglia cui appartenne Annibale, erudito, collezionista, benefattore (1708-1789). Qui sono conservati preziosi documenti storici della città di Pesaro, dalle carte Sforza e Della Rovere, ai manoscritti e alle scenografie del pesarese Niccolò Sabbatini (1574-1654), fino alle carte del Teatro Rossini e all’archivio novecentesco come la collezione di lettere, inediti e fotografie del drammaturgo Ercole Luigi Morselli. Nella nostra concezione tutta la Biblioteca è (anche) un’area espositiva, mentre il Museo Archeologico, completamente rinnovato, si presenta come un ossimoro tra gli antichi soffitti a volta e l’originale allestimento dello studio Startt di Roma ispirato ai metalli di Kounellis.
CC – Gli apparati storici sono anche la quinta dove accadono progetti culturali che si aprono al contemporaneo. Quali sono le direttrici della programmazione tra eventi e servizi? Il Museo si candida ad essere un nuovo luogo nel circuito dell’offerta culturale pesarese. Quali sono i traccianti museografici che dialogano con la collezione Oliveriana?
FB – La riapertura del Museo Romano e Piceno nel dicembre 2022 è stato un momento importante per l’Ente Olivieri che ha finalmente ritrovato la sua impostazione originaria, caratterizzata dalla compresenza della sezione bibliotecaria e di quella museale. Si ripristina così un’offerta culturale che, partendo da testimonianze umane dell’età del ferro (Necropoli di Novilara) rilancia il suo rapporto con la contemporaneità e con le rinnovate esigenze di fruizione della bellezza e della memoria nelle modalità proprie dei nostri tempi. In questa prospettiva sono attive collaborazioni con le numerose realtà cittadine, dal Rossini Opera Festival alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, fino a istituzioni e associazioni grass roots, rappresentative della realtà culturale e sociale della Città, della Provincia di Pesaro e Urbino e della Regione. L’obiettivo è dialogare, con linguaggi “personalizzati” ma sempre rigorosi, con utenti diversi e di tutte le età. La partecipazione del Museo Archeologico alla rete museale pesarese, inoltre, costituisce una presenza significativa nell’offerta culturale destinata a residenti e turisti, anche uscendo dal palazzo, attraverso visite guidate e percorsi tematici per le strade e le piazze cittadine.
CC – Quali sono le principali attività di ricerca e divulgazione che caratterizzano il suo mandato, dopo direzioni importanti come quella di Marcello Di Bella?
FB – Di Bella è stato un amministratore di eccezione, instancabile, mai soddisfatto, alla ricerca di modalità sempre nuove di comunicazione della cultura. È suo il formato “Salone della Parola”, inventato per tempo e subito imitato da altre esperienze in giro per la Penisola, una ribalta che comprendeva l’intera città di Pesaro, per alcuni giorni dell’anno animata, starei quasi per dire assediata, da una miriade di conferenze, seminari, dibattiti, proiezioni, mostre. Oggi, un nucleo di professionalità sperimentate in rapporto tra loro come un gruppo di amici, con il coordinamento empatico ma anche esigente della direttrice Brunella Paolini, danno vita a una proposta che è insieme in linea con le precedenti esperienze ma con un’attenzione speciale a “pubblici” non sempre presenti in istituzioni come la nostra. Oltre a intensificare i tradizionali servizi a supporto delle ricerche scientifiche di specialisti provenienti da tutta Italia e dall’estero, il patrimonio oliveriano viene riproposto in occasione di eventi aperti al grande pubblico, che in alcune manifestazioni ha risposto con una presenza nutrita al di là di ogni aspettativa. In qualche modo perfino sorprendente, in riferimento a iniziative di una cultura talvolta guardata con diffidenza perché “alta”.
CC – Nelle Collezioni Oliveriane ci sono reperti originali e misteriosi. Aneddoti e originalità di un patrimonio.
FB – Da dove cominciare? Forse dai vetri intarsiati proto-cristiani, o dall’anemometro romano che Annibale degli Abbati Olivieri volle collocato all’ingresso del Museo, o dall’enigmatica lapide dell’VIII-VII sec. a.C. che reca incisa la battaglia navale tra mercanti Piceni e pirati Dalmati, o gli ex voto del lucus sacro venerato dai primi abitanti della Pisaurum romana, o la testina di Livia, figlia del pesarese Marco Livio Druso Claudiano e sposa di Augusto. Oppure, salendo di un piano dal Museo alla Biblioteca, la rara Carta nautica che, tra il 1508 e il 1510 disegna con precisione moderna il Mediterraneo, l’Africa, il Mar Rosso (di nome e di fatto, segnalato con la cocciniglia), l’India (più piccola del reale, in verità) e che a ponente descrive già il Nuovo Mondo, i Caraibi, Cuba, il Nord-Est del Brasile. O infine il Codice a cuore, splendido e unico volume la cui copertina di cuoio e le pagine di carta filigranata serbano intavolature di musica da liuto, poesie, ricette, segreti di diario della famiglia che lo ha posseduto dalla fine del 1400 a due secoli più tardi. Insomma un luogo da scoprire nel 2024, anno in cui Pesaro è Capitale italiana della cultura. O in qualsiasi altro momento.