La scuola “E. Fermi”, sita nella piccola frazione di Sambucheto di Montecassiano, paese natale dell’architetto Alfredo Lambertucci, in provincia di Macerata, è un edificio costruito nei primi anni ’90. Antecedentemente all’intervento di riqualificazione energetica, adeguamento sismico, messa in sicurezza e adeguamento impianti, l’edificio si presentava come un’opera anonima, assimilabile a una sorta di scatola prefabbricata, articolata ma lasciata quasi “a grezzo”. L’intervento, partendo dalla necessità di adeguamento sismico, la rivede nella sua integrità, riformulando spazi interni e fornendole un aspetto completamente diverso. Da un punto di vista funzionale, per ciò che riguarda gli spazi interni, la necessità è stata quella di aggiornare gli ambienti alle nuove necessità di apprendimento e ai nuovi modi di vivere la scuola, dando maggiore importanza ad ambienti di studio attivo, per le attività libere, rispetto all’uso tradizionale delle aule per lo studio passivo. L’adeguamento sismico dell’immobile ha portato a modifiche importanti che hanno riguardato anche i prospetti dell’edificio. Va aggiunta inoltre l’esigenza di migliorare le prestazioni energetiche della struttura, soprattutto per ciò che concerne la dispersione termica.
Questi obiettivi, minimi nella realtà, hanno poi guidato le scelte progettuali anche per ciò che interessa l’aspetto architettonico, che trova il suo intervento più interessante nel trattamento delle facciate esterne. Sambucheto appare come un’area periferica, priva di luoghi di incontro e di aggregazione, spazi o edifici che generano senso di appartenenza. La frazione è cresciuta dopo la seconda guerra mondiale in maniera quasi spontanea, lungo una preesistente arteria principale e questo lo si legge anche nei colori che contraddistinguono gli edifici. Vi è un passaggio di cromìe, a volte più spente, altre più vivaci, che si alternano abbastanza spontaneamente senza seguire una regola o un piano di matrice organizzativa.
Nel ridisegnare l’edificio e quindi le sue facciate si è pensato di rendere sistematici questi passaggi cromatici attraverso l’utilizzo in facciata di una parete ventilata, con pannelli in fibra di cemento da otto centimetri di spessore con caratteristiche peculiari. Tagliati in laboratorio in varie dimensioni, sono posati – sopra l’isolamento termico in lana di roccia – in maniera apparentemente “random”, secondo un disegno che si articola in moduli e sottomoduli che interagiscono tra loro in maniera sempre diversa. Oltre che nelle dimensioni, l’avvicendamento avviene anche nei colori, che sono il giallo, il rosso, il viola scuro e il grigio chiaro che si ritrovano facilmente nelle facciate o in porzioni di facciate, degli edifici e delle case circostanti. È come se l’edificio si facesse carico di proiettare su sé stesso le cromaticità di ciò che lo circonda e di rielaborare la storia del quartiere. La vivacità dei colori, un po’ confusionaria, in realtà, del luogo, qui diventa gioco organizzato, attraverso una regola non immediatamente intuibile, che sottende la sua composizione.
Quale migliore occasione di una scuola elementare per sperimentare il colore, il gioco e l’armonia! L’edificio, raggiunti gli obiettivi minimi di partenza – l’adeguamento sismico e l’efficientamento energetico – assolve un ruolo molto più importante: quello di generare qualità visiva, migliorare l’aspetto di uno spazio pubblico e di realizzare la fruibilità degli spazi interni pensati per la vita e il lavoro di gruppo, non solo come luogo di passaggio da un’aula all’altra.