Si tratta di un “Intervento di ristrutturazione edilizia con sopraelevazione”; l’edificio fa parte di una cortina muraria che, da lato monte, guarda la cerchia muraria intonsa (con il suo camminamento, “la Scarpa”) e dall’altro, a valle, offre una vista bucolica sulle tiepide colline marchigiane. Questo lavoro fa seguito ad una serie di collaborazioni tra il nostro studio e la famiglia del ristorante “dal Mago”, cui è adiacente. Sotto un profilo tipologico le scelte sono ai desiderata della famiglia: niente di più e, laddove possibile, qualcosa di meno. Per la tecnologia, invece, c’è solo da rimboccarsi le maniche e tentare di coniugare mezzi, tempi e controllo del dettaglio, che come sempre fa la differenza in questo genere di operazioni, in cui bisogna enucleare dai vincoli i sentieri che conducono al progetto. Dunque carpenterie metalliche (dove rapidità d’esecuzione e controllo della misura sono maggiori), orizzontamenti leggeri e pacchetti performanti. Ed è qui che entra in gioco l’architetto Filipponi che, per Brunetti Filipponi e associati, firma il progetto.
Le premesse (il contesto e l’edificio) sono già lì: la tipologia -la divisione interna – è razionale, la direzione lavori spietata, ma è dai dettagli che emerge quel fattore emozionale che, nel delicato rapporto committente-progettista-artigiano/i, si espone e parla. Parla un linguaggio così legato al recupero (di tutto, fino al più bistrattato pezzo di legno dai più ritenuto da buttare via), pure lui legato alla storia d’una famiglia che è un punto di riferimento nel territorio.
Ma parla anche di un desiderio di pulizia, che, a ben vedere, è, sì tipico della civiltà rurale, ma anche d’una ambizione di contemporaneità. È questo il fil rouge del lungo rapporto portato avanti con la famiglia del Mago, che, occupando il territorio dal 1890, è doveroso dire “dei Maghi”. Nel complesso approccio contestuale il nocciolo, il quid, è sempre uguale. Lo so bene, perché da quarant’anni (sì, tanti sono) di lavoro, di ragionamenti e di diatribe con Marco, poco è cambiato, ma l’esperienza no. Il tema è sempre quello: è sempre e – forse – solo la dialettica serrata tra innovazione e tradizione. Ed è così: è una ossessione. Che si ritrova dappertutto: nella struttura così come nel mobiletto del bagno e nella libreria (in cui è evidente la riflessione sulla gerarchia tra quanto porta e quanto è portato); o nello sforzo – quasi uno spasmo – di far dialogare due sportelli a filo con il tamponamento della parete del caminetto; nel ridare nuova vita a vecchi travi e tavolati che restituiscono un sapore di già visto ad un nuovo manufatto. In definitiva parla con un linguaggio che sa di contadino e di contemporaneo insieme. Per quanto mi concerne qui si parla del Mago, e dunque di Magìa.