Il collettivo Congerie nasce nel 2019 come gesto artistico e politico, come risposta incarnata alle fratture ambientali, sociali e identitarie che attraversano Vallecascia – una piccola frazione nel comune di Montecassiano, nel cuore rurale e marginale delle Marche. Fin dalla sua fondazione, il gruppo si è costituito come un organismo poroso, un osservatorio partecipato e immersivo, capace di ascoltare il battito irregolare di un territorio dimenticato e di rispondere non con la sola documentazione o denuncia, ma con l’invenzione di nuove forme di abitabilità sensibile e comunitaria.
Congerie non si limita a osservare: il suo è un lavoro di restituzione poetica del reale, in cui la rovina non è un ostacolo ma un varco; non un segno della fine, ma un inizio possibile. La pratica artistica diventa così uno strumento di indagine e di riappropriazione, capace di smuovere ciò che si credeva immobile. Attraverso l’arte, la performance, il rito, Congerie tenta una risemantizzazione radicale del paesaggio, al di là delle facili pacificazioni. Il centro gravitazionale di questa ricerca è Vallecascia, un’area a vocazione industriale cresciuta nei primi decenni del Novecento attorno alla Fornace Smorlesi, storica fabbrica di laterizi che ha segnato profondamente l’identità economica e simbolica del territorio.
Per quasi un secolo, la fornace ha rappresentato un punto di aggregazione sociale e lavorativa: un luogo di fatica e di coesione, ma anche di dipendenza economica. Quando, nel 2012, la fabbrica ha chiuso i battenti, ciò che è rimasto non è stato solo un relitto architettonico – vasto, spettrale, degradato, pieno di amianto – ma un vuoto comunitario: la dissoluzione di una forma di appartenenza.

È a partire da questa cesura che Congerie sceglie di tornare alla fornace. Non con lo sguardo pietrificato della nostalgia, né con la retorica museale della conservazione, ma interrogando le possibilità di un nuovo patto immaginativo con lo spazio e con le sue memorie ferite. Come trasformare la rovina in soglia e non in reliquia? Dal 2019, queste domande prendono corpo in I Fumi della Fornace, un progetto curatoriale e un rito comunitario che si svolge annualmente attorno e all’interno dell’ex sito produttivo. Non una semplice rassegna, ma un processo di riattivazione simbolica e relazionale, in cui la fabbrica abbandonata viene attraversata, abitata e trasformata. I Fumi della Fornace si struttura come un dispositivo collettivo in cui la memoria operaia si intreccia con le forme espressive del presente: testimonianze orali, installazioni site-specific, pratiche performative, arti visive e momenti conviviali compongono una drammaturgia plurale che tiene insieme la carne del passato e il desiderio del possibile.
Chi partecipa non è spettatore, ma coabitante temporaneo: artista, ricercatore, abitante o visitatore è chiamato a esporsi, a confrontarsi con la materia instabile del luogo. In questo senso, I Fumi della Fornace è una pratica di prossimità, una forma di attesa attiva, un esercizio di attenzione. È un gesto poetico-politico che tenta di riscrivere le condizioni dell’abitare, riconnettendo ambiente, storia e comunità attraverso il linguaggio poroso dell’arte. La fornace non è più solo un segno del passato: diventa un corpo condiviso, un archivio di fantasmi e possibilità, un campo magnetico in cui la memoria si fa gesto. L’esperienza di Congerie propone una modalità altra di presenza; una modalità che sa che l’abitare (l’occupare e occuparsi di eredità) non è mai innocente, ma può essere ancora generativo. In Vallecascia, tra i detriti di un tempo sospeso, Congerie non cerca di ricostruire ciò che è perduto, ma di abitare poeticamente l’irrimediabile. E da lì, forse, inventare un’altra forma di comunità.