Sentire il pane che non profuma e si fa pietra di Zhanna Kadyrova, immaginare il lungo viaggio dalle montagne dell’Ucraina alla tovaglia bianca davanti al mare d’Oriente, è stato accogliere una promessa, un committment per Demanio, una parola. Una parola che non c’è ma è apparsa, un neologismo che trattiene tutto quello che è stato e quello che potrà essere. Lo spaziocorpo è quello dei diritti e del progetto, delle forme e della misura, dei paesaggi conosciuti e di quelli alieni. E’ il corpo che sente e desidera, trema e prega, il corpo libero tra le prossimità, organico e vibratile, analogo ma non assimilato, il corpo delle identità in cammino. E lo spazio è quello gentile, che avvolge e non si vede, lo spazio atteso e immaginato, pensato conquistato e condiviso. Lo spaziocorpo è una distanza infinitesima o immensa, è l’interstizio dello sguardo sul mondo. Ha tanti volti, nomi, risuoni. Sono le infinite Camere con Vista – metafore della contemplazione e della meraviglia, del mistero nei dettagli della vita minima riconosciuta negli approdi di una lunga ricerca fotografica, storico-archivistica e antropologica che arriva dal mare lungo la linea di costa, e svela la permanenza trattenuta nella spiaggia, il depositato di un’intimità pubblica che si rinnova nell’immagine. E’ Tirana, comunità di comunità cosmopolita, capitale ammirata che ha fatto dell’arte, della cultura e dell’architettura un’innovazione del modello di welfare e della cittadinanza, un orizzonte nel segno del buon governo. E’ Italo Calvino in forma di mappa, rete, infografica – rappresentazione dove spazio, immagine e parola attivano nuove letture, dove la rimembranza accoglie la stratificazione del testo e svela tutto il suo potenziale di conoscenza ed elaborazione. Lo spaziocorpo è il paesaggio italiano in cammino dove la magnificenza abbandonata e ritrovata della Sicilia, lo scarto come nuova risorsa del paesaggio toscano, le geometrie appoggiate sui muri sono enzimi di sviluppo che ricreano l’appartenenza e il senso dello stare insieme. Ma è anche il paesaggio di microscopi e telescopi, immagini enigmatiche e cangianti che abitano il confine tra linguaggi e sistemi di riferimento, in quella terra promessa tra arte e cultura, architettura, poesia scienza e filosofia. Con le neuroscienze che indagano le mappe cognitive, il corpo e lo spazio che crea artefatti culturali; con la geometria e la misura che definiscono contorni confini e simmetrie; con lo spazio come lab di esperienza e coesistenza, dove il corpo delle tute spaziali è quasi un alias tra funzione e design dove il riferimento domestico si insinua nell’inquietudine aliena. Lo spaziocorpo è l’ambito di elezione delle forme in cammino, del design che si abita, che si usa, che significa. In definitiva è quel sentirsi a casa nelle cose del mondo, tra cose che hanno cura, senso e connessione. In qualche modo è un manifesto. Un pensiero partito dai pani di pietra e ritornato sulle coste adriatiche nel segno di Enzo Cucchi – maestro dei Demanio 2023 – e nel segno dell’aria, del movimento e del respiro. Nuvole lunghe dipinte e disegnate le sue, e il ricordo tra gli altri di quel quadro “Due bei passerotti pettinati dal vento”.