Demanio Marittimo
- 2024

Rovine&Ripari Edizione 14

Demanio Marittimo. KM-278 è una maratona dedicata alle arti, all’architettura, al design e alla dimensione adriatica, curata da Cristiana Colli e Pippo Ciorra. La XIV edizione, come ogni anno, si svolge sulla spiaggia di Marzocca di Senigallia venerdì 19 luglio, 12 ore ininterrotte, 6 pm/6 am: il festival è ormai è divenuto un landmark che per una notte ogni anno connette la spiaggia di Marzocca con le grandi questioni contemporanee e con le voci di chi le affronta dai punti di vista del progetto, del paesaggio, della tecnologia, dell’arte, delle molte forme di appartenenza al nostro tempo e al nostro spazio.

Il tema di questa 14° edizione, ROVINE&RIPARI, è pensato come un ulteriore dispositivo per avvicinare la spiaggia di Marzocca ai fenomeni e ai concetti che viviamo ogni giorno. Da un lato una produzione accelerata di rovine, prodotte da guerre e catastrofi, ma anche dalla velocità con cui il tempo trascorre per la cultura occidentale, trasformando qualsiasi reperto in archeologia. Dall’altra il bisogno di trovare forme diverse di riparo/protezione per comunità e individui sempre più fragili e di collegare il concetto di riparo con quello di riparazione, intesa come antidoto all’iperconsumo, risarcimento, mitigazione delle diseguaglianze. Parole estese che rimandano alla crisi dell’ecosistema e a immaginare forme diverse di riparo – per le creature e le cose, i patrimoni identitari, le comunità come architravi di coabitazione e cittadinanza.

Rovine&Ripari

Cristiana Colli

Il pane di Zhanna Kadyrova appoggiato su una tovaglia bianca davanti al mare mosso di Marzocca era un segno irriducibile, perentorio. Pane di pietra, un inerte senza lievito, con le sembianze di ciò che è familiare e fa casa ma senza il rito della tavola, del nutrimento e della cura. In quei sassi arrivati dai boschi e dai fiumi dell’Ucraina c’e’ la dimensione tragica della rovina, con l’elaborazione che l’arte offre a se stessa e al mondo. Come gli abiti di “Second hand” – un ciclo affascinante della stessa Kadirova – costruiti con le piastrelle rotte di luoghi distrutti e in metamorfosi. Guerre di oggi che scuotono le coscienze, come le guerre di ieri che hanno segnato generazioni. Demanio prosegue nella ricerca fatta di assonanze e riverberi, dove ogni cosa è dentro l’altra, ogni tema ricorre, si precisa, si espande. Esiste nella relazione. Interrogarsi ora sul tema della rovina e del riparo, parole gemelle, entrambe sostantivo e verbo, definite ma aperte e in cammino, significa provare a cogliere nelle cose del mondo il sacro che abita l’in between di questa civiltà. Stare tra le cose per stare nel tempo e nella storia. Così certi anniversari sono dispositivi, coincidenze che parlano a noi come tracce di futuro. Un secolo fa a Urbino nasceva Paolo Volponi, una figura centrale del ‘900 italiano, che ha anticipato la dimensione sfaccettata dell’intellettuale che si mette in mezzo tra le pratiche e gli immaginari del lavoro e dell’industria come ambiente cognitivo, e l’etica pubblica che ha nella politica l’orizzonte della cittadinanza. Oltre un secolo fa nasceva a Bologna Guglielmo Marconi, l’inventore che segna un punto di non ritorno nella storia umana. C’è qualcosa di magico, arcaico e tecnologico insieme nell’invisibilità del messaggio che trattiene la moltiplicazione potenzialmente infinita della relazione, oltre lo spazio il tempo e i confini. Con lui accesso, simultaneità e interconnessione diventano necessità, cultura e conoscenza, stile di vita, progetto, nuove economie. Ascoltare la sua voce e comprenderne la preveggenza, è un’esperienza che si colloca tra l’archivio e l’oracolo. Oltre duemila anni fa l’eruzione più grande della storia fa di Pompei un luogo planetario, l’immaginario per eccellenza della categoria concettuale della rovina, della sua pratica di studio valorizzazione e preservazione, e dell’infinita tessitura che declina l’idea del riparo e della riparazione come ponte tra le arti e i linguaggi, le antropologie fino alla produzione contemporanea. Pompei Commitment è un dialogo tra memorie che si producono in modalità incessante in un tempo circolare e infinito. La rovina che affascina e seduce per la gravitas, la bellezza della radicalità decadente, l’estensione nel dibattito delle idee – attuale e necessario. La rovina che riguarda l’ecosistema e il Vivente, le specie e ogni altro heritage, gli habitat naturali a rischio estinzione, il linguaggio, il sistema valoriale, i luoghi e le icone a cui le comunità affidano il senso di un’appartenenza comune. Se la civiltà dei consumi, con l’obsolescenza programmata e il lavoro sofisticato sui desideri anche quando orientati al senso intrinseco del limite, è concepita per produrre inesorabilmente rovine e ripari reali e simbolici, è la creazione di legacies consapevoli la sola postura possibile, l’antidoto per riconoscere la dimensione spirituale e simbolica che sta dentro e oltre ogni progetto, ogni edificazione, ogni narrazione. Che si tratti del masterplan di una capitale, di un’architettura o di un’immagine, di un museo, di un oggetto, di un’opera del talento o dell’ingegno. Comunque rovina, comunque riparo.

Rovine&Ripar(azion)i

Pippo Ciorra

Tra i molti titoli scelti per le 14 edizioni di Demanio, tutti piuttosto inclusivi, questo è certamente il più ambiguo, il più sfuggente, e allo stesso tempo quello che meglio si adatta al momento storico in cui la nostra maratona ha luogo. Rovina, come diceva Jean-Louis Cohen della modernità, come “promessa o minaccia”. O piuttosto, nel nostro caso, promessa e minaccia. Di questa complessa contraddizione, costruita in decenni di sovrapposizione tra realtà e interpretazione, di ordine e caos, si nutre il programma della nottata. Cinquant’anni fa le fotografie di Guido Guidi, protagonista di questa edizione e di una grande mostra in preparazione al MAXXI, sembravano dare una svolta narrativa illuminante all’idea di scarto e rovina, sia che si trattasse di angoli marginali del paesaggio, di costruzioni anonime, di vite minori, sia che il suo obiettivo si posasse sui resti drammatici di bunker del Vallo Atlantico o su angoli e ombre sfuggenti delle opere di Mies van der Rohe, Le Corbusier, Carlo Scarpa. In architettura la rovina, archeologica o moderna che fosse, era infatti un concetto ancora più virtuoso e incoraggiante, un testo su cui studiare il passato o una preesistenza da cui muovere per costruire il futuro. Fiumi di inchiostro e decine di edifici sono stati dedicati al culto felice e aggiornato delle rovine moderne, dai testi di Virilio alle ricerche sul riciclo, dall’Emscher Park ai mille progetti sul riuso dei “capannoni senza padrone”. L’attenzione alla rovina sembrava non essere altro che un buon inizio per costruire una solida teoria contemporanea dell’architettura, consapevole che era finito il tempo della tabula rasa , entusiasta di incorporare in modo nuovo passato e presente . Oggi le cose sono brutalmente cambiate. Dopo Covid, guerre a noi molto vicine, catastrofi varie pronunciamo la parola rovina con più pudore, con un’attenzione che sembra dedicata a depurarla da quello strato sottile di cinismo che ci permetteva di interrogarci più su quello che di buono potevamo fare con una rovina (architettonica, artistica, urbana, disciplinare…) che non sulle ragioni per cui quei “resti” erano diventati tali. Per questo vale forse la pena di prendere coscienza di quel tanto di problematico c’è oggi nella questione delle rovine e quindi nel titolo scelto. E di conseguenza forzare il riparo verso il significato che ci porta verso il verbo. Riparo come riparare, aggiustare, reagire alla perdita di qualcosa non solo filosofando sulle tracce rimaste sul campo ma mettendoci le mani dentro – hands on – e provando a dare un senso ancora più profondo a un vocabolo che ci è già molto caro, Riciclo. Il Demanio non può che prendere atto del nuovo inquietante spessore della parola rovina ma allo stesso tempo non può ignorarla; e raccoglie allora intorno alla piazza temporanea che gli studenti della SAAD costruiscono sulla spiaggia di Marzocca una serie di esperienze che ci suggeriscono idee su come vivere in mezzo alle rovine, su come comprenderle, su come evitare che se ne producano altre, su come utilizzarle per un progetto di futuro virtuoso e riparatore . Si vedranno i lavori di architetti che cercano di usare gli scarti per arrivare allo spazio ideale, come per i container dei Lot-Ek, o che cercano nuove e interessanti strade per conciliare bei progetti e desiderio di ricostruire le relazioni sociali, come per i progetti premiati in Italia e nel Mies van der Rohe Architecture Award. Si vedranno performance e installazioni che fanno capire come il linguaggio artistico applicato allo spazio può essere un dispositivo utile per costruire sulle rovine senza cancellare tracce utili e profonde, una via d’uscita incerta e interessante da questo groviglio di rovine.

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