Fotografia
- Mappe N°23

La fotografia consapevole Intervista a Andy Massaccesi

Mappe °23


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CC Come inizia la sua passione per la fotografia? C’è un fatto che si ricollega a questo progetto di lavoro che è anche, immagino, un progetto di vita?

AM Diciamo che la fotografia non era esattamente nei piani iniziali. La mia formazione principale è da grafico, e all’inizio il mio percorso sembrava destinato a seguire quella direzione. L’interesse per la fotografia è nato durante le lezioni di fotografia all’ISIA di Urbino. È stato lì che, per la prima volta, sono entrato in contatto con i processi della camera oscura. Ricordo perfettamente il momento in cui ho visto un’immagine affiorare lentamente dalle bacinelle della chimica: è stata una folgorazione. Da quel momento ho cominciato a pensare che forse proprio quella poteva essere la forma di scrittura con cui esprimermi al meglio.

CC La città di Senigallia ha un humus privilegiato per questo mezzo, ha storie e presenze importanti, ma anche percorsi originali e trasversali. Per alcune generazioni, e anche la sua, c’è un ambiente creativo riconoscibile. È un’influenza che l’ha riguardata?

AM Paradossalmente, è stato solo dopo aver lasciato Senigallia per studiare altrove che ho davvero conosciuto – o meglio, imparato a leggere – “la fotografia senigalliese” e tutto ciò che ha ispirato il periodo precedente e successivo al gruppo Misa. Con il tempo, e con una maggiore consapevolezza, mi accorgo che nelle mie immagini riaffiorano tracce e stilemi riconducibili al nostro territorio. Credo però che queste affinità non derivino esclusivamente dalla storia fotografica locale, quanto piuttosto dagli stimoli, dai ricordi e dalle sensazioni che il territorio stesso riesce a evocare.

CC Ci sono riferimenti – scuole, movimenti, autori – a cui deve un tributo speciale?

AM Sicuramente la scuola tedesca per quanto riguarda la composizione e il metodo. La scuola inglese e americana per quanto riguarda l’aspetto narrativo e i colori.

CC Quali elementi linguistici caratterizzano e distinguono la sua ricerca e il suo linguaggio autoriale?

AM Sia che si tratti di un progetto più riflessivo, sia di qualcosa di più leggero, cerco sempre di non rinunciare a una nota ironica, o almeno a un elemento che rifletta il mio carattere in modo autentico. Come riferimento ideale, mi piacerebbe che una mia immagine, o una serie, riuscisse a trasmettere la stessa sensazione che provo quando riguardo le vecchie fotografie scattate dai miei genitori durante le vacanze da bambino. C’è qualcosa di ingenuo, spontaneo e profondamente evocativo in quegli scatti, che continuo a cercare anche nel mio lavoro. A parte qualche inevitabile lavoro commerciale, per la mia ricerca personale ed editoriale scatto ancora tutto in pellicola. Ho bisogno che anche l’estetica delle immagini contribuisca a evocare un senso di intimità e naturalezza, anche quando la scena è costruita intenzionalmente.

CC Il mondo della moda è un ecosistema a parte, per ogni disciplina e per tutti i linguaggi. Qual è la sua esperienza in questo mondo?

AM Il mio primo contatto con il mondo della moda è nato più per necessità che per una reale esigenza personale. Volevo provare a lavorare (e sopravvivere) con la fotografia, ma il mercato artistico e galleristico italiano, allora come oggi, non offriva molte opportunità concrete ai giovani fotografi. Ho iniziato così facendo l’assistente per alcuni professionisti del settore, per poi costruire gradualmente un mio percorso tra commissioni editoriali e pubblicitarie. Col tempo, però, ho scoperto che il sistema moda era molto più interessante e ricco di quanto immaginassi: trasversale, giovane, dinamico. Un ambiente in cui si ha la possibilità di conoscere molto, confrontarsi con linguaggi differenti e, soprattutto, allenare la propria narrativa visiva e la propria estetica in modo rapido e stimolante. A essere sincero, oggi penso che proprio da questo settore emergano spesso progetti e profili con una forte impronta autoriale; forse più incisiva ed efficace rispetto a quella che si riscontra nella fotografia “artistica” in senso tradizionale.

CC Tra le sue storie visive, ci sono esperienze nelle quali riconosce una ricerca e uno sguardo peculiare, emblematico?

AM Sicuramente, nel mio ultimo progetto On Spot Investigation, sono particolarmente soddisfatto del risultato ottenuto. Credo di essere riuscito, in modo spontaneo, a rispettare pienamente tutto ciò che ho detto in precedenza riguardo al mio linguaggio autoriale, pur abbracciando generi che vanno dal ritratto al paesaggio passando per lo still life. Mi vengono poi in mente alcuni lavori di ritratto che, pur nascendo come commissioni, hanno superato le aspettative iniziali. “Willem Dafoe”, “Fabio”, “Francesco Risso” anche grazie alla complicità dei soggetti ritratti, sono riuscito ad andare oltre ciò che avevo immaginato in fase di ricerca e preparazione, trovando uno spazio espressivo autentico anche all’interno di un contesto apparentemente più vincolato.

CC La fotografia vive un momento strano, tra autorialità spinta e apparente accessibilità – del mezzo e del contenuto. Qual è la sua opinione in proposito?

AM Personalmente, vedo questa tendenza come una conseguenza naturale dell’evoluzione generale che stiamo vivendo, non solo nel mondo della fotografia. Guardando nello specifico al nostro ambito, già 20 anni fa, con l’arrivo del digitale, si diceva che tutti sarebbero diventati fotografi. E oggi, con la diffusione di “mirrorless”, “smartphone avanzati” e intelligenze artificiali, questa previsione si è moltiplicata. Ma la mia opinione è che tutto questo non stia aumentando il numero di fotografi, bensì di persone che scattano fotografie o producono immagini. Sono due cose diverse. La fotografia, intesa come linguaggio, come forma di pensiero e come visione del mondo, continua ad appartenere a chi decide consapevolmente di usarla per esprimersi, non solo per generare. Chi ha veramente qualcosa di personale, e autentico da dire troverà sempre spazio, e un pubblico.

Sale e tabacchi
L’arte ci spettina
On spot investigation
Francesco Risso, Marni
Willem Dafoe, Port Magazine
Fabio, Taylor Wessing
Photo Prize

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