Pensieri

Le mie Marche Massimiliano Tonelli

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Le mie Marche affondano nei sentieri della memoria da almeno un quarto di secolo. Dai tempi dell’università, quando raggiungevo mamma che passava le vacanze a Numana o quando le colleghe con cui si faceva gruppo provenivano da Ostra o da Jesi. O ancora prima, quando mio babbo infilava sempre “Urbino” nella lista delle città più belle d’Italia che mi stilava da bambino. Poi le frequentazioni si sono intensificate per motivi di lavoro. Ospite fisso al Demanio Marittimo e nel comitato scientifico del Festival del Giornalismo Culturale, ad esempio. A lasciarmi a bocca aperta, negli anni successivi, sono state meno le città celebri e indiscutibili come appunto Urbino e di più quelle inaspettate, dalla bellezza non celebrata mai, trascurate artisticamente da un paese che gronda città d’arte. L’ho pensato nei vari passaggi a Fano. L’ho pensato ancora di più non potendo credere ai miei occhi al cospetto di Ascoli. Le mie Marche sono, insomma, in prima battuta arte e patrimonio. Le mille mostre alla Pescheria di Pesaro, le iniziative della Fondazione Casoli a Fabriano e una mostra – mi vengono i brividi, era l’estate 2003, 19 anni fa – alla Rotonda di Senigallia finalmente restaurata dopo anni. Cinque artisti – tra cui Enzo Cucchi, ovvio – curati da Marcello Smarrelli.

Fu il mio personale momento di transizione tra un interesse e un altro. O meglio di unione tra due interessi: l’arte e il cibo. Ricordo che il catering di quell’inaugurazione venne curato, in tandem, da Mauro Uliassi e Moreno Cedroni. Non erano i giganti che sono oggi, ma erano già due superchef e vederli fianco a fianco non era banale e dava un senso di sinergia e alleanza territoriale al di là delle sane rivalità. Iniziai a guardare le Marche con un’altra ottica fino a quando, divenuto nel frattempo anche direttore del Gambero Rosso, feci nominare Senigallia come città italiana dell’anno per la gastronomia. La densità di contenuti, di progetti, di proposte e di eccellenze che la città offre non ha eguali. Oltre ai super chef già citati si passa senza soluzione di continuità dal gelato (Brunelli) ai forni (Pandefrà), dalle enoteche (Galli) alle trattorie (Vino e Cibo), dai cocktail (Spaccio) ai bistrot (Mercato Pop e Nana) fino ad arrivare alla produzione agroalimentare di ricerca con l’incredibile pasta secca di Pietro Massi e le patatine sempre di Nana. E chissà quante cose mi dimentico…

Senigallia è lo specchio fedele della regione. Nel bene e nel male. Nel bene perché questa fitta offerta di cose buone e ben fatte si sta riconfermando stagione dopo stagione dappertutto, in tutte le provincie. Senigallia è un lunapark gastronomico, ma tutte le Marche lo stanno diventando. E nel male? La lamentazione è sempre la solita: trasporti e infrastrutture turistiche. A Senigallia come altrove, le Marche oltre ad essere scrigno di qualità sono in grado di lasciarti l’amaro in bocca per come sono complesse da raggiungere e per come fanno fatica ad aggiornare la loro accoglienza a dispetto di potenzialità sconfinate. Occorre lavorare molto perché treni e alberghi non sono oggettivamente all’altezza di tutta la meraviglia di cui ho parlato fin qui non raccontandone neppure una frazione.

Con Artribune, il giornale che dirigo, qualche settimana fa, in occasione di un’importante fiera d’arte contemporanea a Bologna, ho chiesto a Nana un po’ delle loro mitiche patatine in busta e le abbiamo distribuite ai visitatori nazionali e internazionali dell’evento nel nostro stand. Se si può dare una mano per raccontare all’esterno i valori agricoli, alimentari, industriali, artigianali, artistici delle Marche, io ci sono.

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