Ri-costruire comunità
Cristiana Colli
Potere delle parole, potere delle coincidenze nel tempo inquieto in cui la terra trema, la vita chiede senso e luoghi, il lunario ricorda l’estate romana – un’innovazione sociale a traino culturale. Di quella storia la distanza riconosce la visione, la concezione raffinata, etica, le personalità straordinarie, la qualità alta di una politica culturale che ha rigenerato le matrici nazional-popolari – dalla festa di partito a quella del patrono – il deposito di senso significato e competenze per un altro sviluppo civico ed economico. Con la riscrittura del rito e della liturgia intorno al progetto; un sistema di icone identitarie per le comunità di destino, benché temporanee, e uno spirito del tempo che rovescia la gerarchia del valore rispetto a luoghi soggetti e reperti, e anche la retorica di una destinazione univoca della fruizione. Così si sono anticipate le grandi questioni contemporanee: recycle concettuale prima che progettuale, accesso e cittadinanza culturale, riappropriazione del paesaggio, ibridazione di sintassi contenuti e contenitori, multicultura come premessa per dissimulare la vita interiore dei luoghi e del patrimonio col potere visionario dello sguardo, della parola, del gesto. Un’entrata impetuosa nella modernità emancipata, con la città che si fa palcoscenico, la spiaggia hub culturale, le mura e le emergenze urbanistiche schermi di proiezione, il paesaggio piattaforma per gli immaginari che scivolano si irradiano e restituiscono comunità aumentate. Ri-costruire comunità è allora la legacy che si fa prospettiva, l’heritage che si espande in un infinito contemporaneo dove comunità sono gli archivi, fonti rigenerate di idee, influenze, programmi di committenza; i contesti che suggeriscono narrazioni e percezioni, i muri e le carte, i suoni gli algoritmi e gli oggetti che inducono contemplazione e meraviglia; le storie e le geografie in cammino, online e offline. Così l’arenile demaniale che si fa Demanio Marittimo.Km-278 accoglie la questione cognitiva e spirituale che interroga, nel mondo, sul tema della rovina, del reperto e della sua elaborazione in chiave individuale e collettiva, e fa dell’agorà di Marzocca una comunità di comunità, un demanio di demani, luogo di luoghi e di metafore. Approdo e ripartenza di un impegno ventennale – editoriale, culturale, comunitario. Dentro e oltre l’Adriatico.
Il teatro introverso
Pippo Ciorra
Demanio Marittimo compie sette anni. E’ già di per sé un traguardo importante, ma a renderlo ancora più rilevante ci si sono messi un’altra ricorrenza eclatante, vale a dire i 20 anni di Mappe/Progetti, e lo stato di calamità post-sisma che affligge (e affliggerà ancora
per molto) buona parte dei territori che sono poi quelli che danno linfa a questo progetto. Marzocca allora può proporsi come il dispositivo che permette di produrre un senso capace di attraversare senza perdersi la grande differenza di scala di questi temi. Sulla spiaggia c’è la comunità di chi crede nella cultura progettuale e creativa come cemento per la cittadinanza contemporanea. Prima durante e dopo la spiaggia si muovono quelli che lavorano per tenere vive le infrastrutture – accademiche, editoriali, professionali, istituzionali, individuali –di questa possibile cultura. Intorno alla spiaggia, nel territorio, ci sono le comunità che sono state colpite e che non vogliono disperdersi, e che cercano gli strumenti per ricostruire non tanto i luoghi quanto la vita di chi li abitava. La settima edizione di Demanio si occupa allora di comunità e di ricostruzione, offrendo a chi è interessato alla nostra ricostruzione un tavolo dove far incontrare tutti gli attori di questo tentativo di reagire alla catastrofe e a tutti un luogo dove mettere in luce il ruolo cruciale che l’architettura, l’arte, la memoria, l’innovazione e la produzione culturale hanno nella costruzione di qualsiasi comunità. In realtà il bel teatro in[tro]verso allestito per la settima edizione di Demanio Marittimo celebra anche un altro compleanno importante: i 40 anni dalla prima, gloriosissima, Estate Romana di Renato Nicolini. Il contributo “monumentale” di quel progetto – che intendiamo ricordare a tutti e che è per noi un esempio– fu proprio quello di dare spazio alle arti come enzima attivo di un nuovo rapporto tra luoghi, persone e linguaggi,
esattamente gli ingredienti essenziali per la sopravvivenza di una comunità.
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