Da buon romano, pigro e distratto, ci ho messo un bel po’ a capire la ricchezza e la complessità delle Marche, un territorio che all’inizio mi sembrava fin troppo solidamente ancorato alle sue tradizioni contadine e alla sua nuova ricchezza industriale. Non abbastanza wild come il vicino Abruzzo, né votato all’eccitazione metropolitana del leisure e dell’industria del divertimento come la confinante Romagna. Per accorgersi delle energie glocali e “non-omologate” che alimentano questa regione sottopelle c’è voluto un bel po’ di tempo e l’aiuto delle persone preziose che ho mano a mano incontrato da quando ho avuto la fortuna di cominciare a conoscere davvero questi luoghi. Tra queste un posto d’onore spetta naturalmente al gruppo che ruota intorno a questa rivista e in particolare a Cristiano Toraldo di Francia, che l’ha diretta fino a pochi mesi fa, quando ci ha molto prematuramente lasciati.
Cristiano a dire il vero lo conoscevo da molto prima che fosse coinvolto in “Mappe”. Prima, ancora studente negli anni Settanta, come protagonista di quelle esperienze radicali e dirompenti che avevano caratterizzato l’architettura italiana nella golden age ’60/’70 e che io vedevo da lontano, a una distanza (di sicurezza) definita dalla mia formazione prima romana e poi veneziana. Poi, nel mio apprendistato critico, come autore di opere architettoniche post-Superstudio che catturavano il mio interesse e miscelavano con grazia residui radicali, pragmatismo strutturale e attitudine postmoderna alla comunicazione veloce. In quella fase ci sono stati i anche primi contatti, magari grazie a qualche convegno che frequentavo con uno spirito a metà tra l’aspirante studioso e il critico young and angry o a qualche final review di studenti di scuole americane in trasferta fiorentina.
Poi finalmente i “casi della vita” hanno spinto entrambi verso questo territorio e verso la stessa neonata facoltà di architettura (oggi “scuola”) di Ascoli Piceno. Da quel momento la scuola è stata la prima di una serie di piattaforme dove sviluppare sia la nostra collaborazione che una reciproca e sostanziosa empatia umana. Dopo Ascoli ci sono stati infatti Demanio Marittimo, di cui Cristiano era un pilastro generoso e vitale, la rivista che ospita questo testo e infine il MAXXI, con la grande mostra del 2016 sul lavoro di Superstudio. In tutti questi contesti Cristiano è stato un maestro allegro e generoso, capace di esprimere allo stesso tempo autorevolezza e curiosità, profondità e leggerezza. Soprattutto a scuola il contributo di Cristiano è stato essenziale, anche perché avveniva in un momento in cui si poteva aspirare a dar vita a una piccola rivoluzione culturale e didattica, rispetto allo stato appesantito e arretrato delle facoltà di architettura italiane all’inizio degli anni Novanta. Sul piano nazionale c’era la nascita di una serie di nuove e ambiziose facoltà in concomitanza con alcune novità importanti negli ordinamenti, come i laboratori di 50 studenti e una maggiore apertura verso docenti più giovani. Ad Ascoli Piceno c’erano in particolare la volontà e la leadership di Eduardo Vittoria, che metteva tutto il suo impegno nella costruzione di un progetto didattico originale, culturalmente forte (e ancora memore dello slancio Bauhaus) e allo stesso tempo strettamente connesso alle dinamiche del territorio. Il contributo di Toraldo di Francia a questo progetto è stato sostanziale, ha lasciato tracce forti nel tessuto dei docenti come in quello degli studenti, ha contribuito a fare della scuola di Ascoli un faro piccolo ma visibile da molte parti del mondo.
Per queste e per molte altre ragioni la scomparsa di Cristiano ci ha lasciato sorpresi e scioccati, anche perché sostanzialmente non aveva età, era coetaneo di ognuno di noi, autorevole come i migliori tra i suoi colleghi, impaziente come ogni architetto in piena attività, curioso come uno studente. Cristiano era giovane per definizione e per sempre. Conserviamo la sua energia e ci sforziamo di continuare decisi nella direzione che percorrevamo insieme.