Europa Luna Spiaggia
Cristiana Colli
C’è qualcosa di enigmatico e commovente nel rallenty che inquadra i passi di Neil Armstrong sul suolo lunare. Non è dato vedere il suo volto oltre la visiera che si fa schermo né cogliere il corpo protetto dalla tuta bianca, ma si coglie l’effetto del suo passaggio: sotto i suoi piedi la superficie aliena accoglie l’impronta, attende il peso, si fa matrice. È l’inizio della relazione,
e così la missione spaziale Apollo 11 diventa accesso all’alterità, sguardo, paesaggio cosmico, comunità degli immaginari, fondale filosofico, piattaforma estetica, linguaggio. L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si toccano nella prossimità, o nella sua illusione. Così gli oltre 600 milioni di spettatori – il 20% della popolazione mondiale e l’italia in diretta con Tito Stagno dal mitico Studio 3 di Via Teulada – appaiono come la preveggenza di quella grande community planetaria che pochi anni dopo – e grazie a sperimentazioni militari – porterà alle prime simulazioni della rete che presto diventerà Internet. Potere delle
coincidenze e degli anniversari, l’allunaggio accade 50 anni fa il 20 luglio 1969 – la notte di Demanio! – ma la conquista dello spazio come esperienza filosofica e spirituale, scientifica e tecnologica e infine geopolitica è anche la conquista di una consapevolezza nuova della Terra. Lo dicono i racconti e le narrazioni degli astronauti, il sentimento popolare, l’arte che ne è stata ispirata, il cinema che ha rappresentato il più potente moltiplicatore dell’epica lunare dove la contemplazione del sublime, la nostalgia e lo sperdimento sono pari all’ardimento e alla fiducia nella potenza visionaria della conoscenza. Il programma delle missioni spaziali è stato un’utopia, come lo fu quella di un’Europa libera e unita – un continente di differenze e coesistenze, agorà di comunità persone e progetti, che nel 1941 Altiero Spinelli teorizzava nel Manifesto di Ventotene. Utopie che si mantengono tali, talvolta divenute eterotopie, figlie di virtuose simmetrie tra pragmatismo e idealità. In mezzo la spiaggia che è tante spiagge, dispositivo, paesaggio, confine irriducibile tra senso e superficie – come lo è la Luna, come lo è l’Europa. La spiaggia inventata in una poetica
messa in scena che vale il Leone d’Oro alla Lituania alla Biennale 2019; la spiaggia fluviale di Autostrada Biennale a Prizren in Kosovo; la spiaggia di Marzocca che rinnova la sua sfida all’impermanenza con 12 ore e 300 metri di spazio pubblico contemporaneo. Tra le segrete corrispondenze un altro anniversario: è il 1819 quando un ventenne Giacomo Leopardi scrive l’Infinito.
Eurodesire
Pippo Ciorra
A prima vista potrebbe sembrare strana l’idea di aprire una discussione sull’Europa in un punto generico dell’interminabile spiaggia adriatica, a metà strada tra un’attempata raffineria e una delle più tipiche tra le rotonde nazionali. Marzocca non avrà forse il fascino austero e incontaminato della Ventotene degli anni ’40, dove Altiero Spinelli scrisse in esilio il suo Manifesto per un’Europa Libera e Unita, ma è pur vero che la costa adriatica è oggi una delle tante “piazze” dove si incontrano e si misurano le mille tensioni e i mille desideri che definiscono l’Europa attuale, quella che vorremmo costruire e quella che molti vorrebbero raggiungere. Proprio nei primi decenni del dopoguerra, mentre Spinelli e gli altri euroattivisti intraprendevano il loro percorso politico federalista, tedeschi, olandesi e scandinavi cominciavano a fare di questa costa la sede della loro villeggiatura, costruendo una prima versione pacifica e molto leisure dell’integrazione tra i popoli europei. Nel frattempo, in tempi di Guerra Fredda, l’Adriatico accresceva la sua importanza politica come terreno di dialogo e confronto tra le democrazie europee e i non-allineati che si affacciavano con prudente curiosità dalle coste dalmate, al di là della teorica linea di separazione tra democrazie liberali e sistema sovietico. Oggi le coste, come abbiamo ricordato in diverse edizioni precedenti di
Demanio Marittimo, sono infine il campo allungato dell’interminabile battaglia tra chi vuole un’Europa più chiusa e selettiva e chi invece la considera una terra promessa e una spiaggia su cui sbarcare a tutti i costi, per cercare salvezza e una vita migliore. La maratona artistica e architettonica di Marzocca non è la sede adatta per un ennesimo dibattito politico
sull’Europa. Quello che si può fare è capire e testimoniare di che materiali – umani e concettuali – è fatta l’Europa che vorremmo. Il primo di questi materiali è senza dubbio la storia, ingrediente essenziale per la costruzione di un futuro. Per questo vale la pena ridiscutere alcuni miti fondativi della modernità – entrambi al loro centesimo compleanno – come il Bauhaus e Giancarlo De Carlo, o il ruolo di un museo nuovo e ambizioso appena aperto a Mestre, M9, dedicato appunto a costruire uno sguardo nuovo e progressivo sulla storia. C’è l’Europa della ricerca e del progresso, che ama ricordare i cinquant’anni dell’allunaggio, insieme a quella del progetto, che ritroviamo nei grandi esponenti dell’architettura, dell’arte e del design. L’Europa che ci piace è anche quella che dà il giusto spazio alla cultura, e che può essere discussa attraverso un confronto su ruolo e prospettive di alcune delle sue istituzioni più importanti, come la Biennale di Venezia. C’è infine, last but not least, l’Europa già integrata di chi la pratica, delle generazioni post-Erasmus, che ne attraversano quotidianamente i confini e la costruiscono silenziosamente.
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