A Rosora, niente è come sembra. Il fiume è un futuro di 2 km; il sole e l’acqua sono un’impresa energetica; l’Abbazia di Sant’Urbano è una comunità operosa. La terra e il cielo sono energie e immaginari, ogni cosa in quel luogo è un progetto, ogni persona una ricchezza, ogni conoscenza un’opportunità. Lì la cultura monastica e mezzadrile si uniscono all’intelligenza delle reti. Le parole e i verbi con cui definire il fare e l’essere sono precisi e risuonano come un mantra; nei laboratori scintillanti e nei container bianchi si produce intelligenza e conoscenza, si accolgono generazioni di studenti – dalle elementari ai PhD – si pensa al futuro, e non si smette mai di farsi domande. Oggi Loccioni è un’impresa della conoscenza, leader nella misura per il controllo qualità, partner di grandi industrie internazionali, impresa energetica, per molti anni tra le imprese italiane più premiate.


Oltre le colline dell’ennesima vallata che porterà le sue acque in dote all’Adriatico, si sente l’immanenza della Valle di San Clemente, un luogo intatto e segreto su cui veglia la millenaria Abbazia di Sant’Urbano. Quelle mura sono un crocevia nell’infrastruttura della spiritualità che innerva il paesaggio marchigiano, dove ogni strada bianca arriva sempre a un colle dell’infinito, tra edicole della devozione quotidiana e del rosario di Maggio, chiese e pievi, cattedrali e santuari, maestosi paesaggi segnati dalla sacralità laica della natura. In asse con i grandi misteri della geologia di Frasassi, è un paradigma di equilibrio e misura dove storicamente il bello, il buono e il giusto della cultura monastica si incontrano in un protocollo che supera la dimensione spirituale.
L’Abbazia e la cultura benedettina di cui è simbolo – fatta di regole, di un network valoriale puntuale e universale interconnesso oltre le geografie, di individualità e comunità, studio, conoscenza e paziente lavoro quotidiano – sono coerenti con la storia e il futuro di un’impresa che sfugge a classificazioni e identità definite, sempre in cammino, fluida come le risorse su cui poggia.
Da una parte l’acqua dell’Esino, dall’altra la terra fertile e generosa che collega le Marche con i suoi distretti al centro Italia e ricorda la cultura mezzadrile, dove la natura è la risorsa originaria che si offre alle infinite metamorfosi progettuali, etiche ed estetiche, un paesaggio dinamico in continuo mutamento. Queste memorie di luogo sono le matrici di una pratica imprenditoriale che prevede solo una declinazione, quella al futuro.
Enrico Loccioni, il fondatore e ispiratore insieme alla moglie Graziella di una modalità dove fare impresa è fare comunità, ha scelto il futuro quando era parte della filiera del bianco e quando lui è diventato il vertice della filiera, leader di una modalità che ha fatto scuola, benchmark celebrato tra le best practices del miglior made in Italy. Lui che conosce il valore e la fatica della terra, ha riconosciuto nel territorio legato alla tecnologia un vantaggio competitivo, un bene comune che unisce persone e valori, intelligenze e paesaggi, educazione, formazione e senso di appartenenza consapevole in una visione olistica della conoscenza. Entrando in questo campus fatto di laboratori in sequenza – oggi impresa energetica che mira all’autosufficienza come fattore di libertà, autonomia e intelligenza nell’uso delle risorse – si ha la netta percezione di quanto sfaccettato e complesso sia un organismo che produce valore e valori per sé, i partners e il territorio, e di quanto speciale possa essere muoversi tra ambienti cognitivi che vanno dall’aerospazio all’automotive, dalla farmaceutica all’energia, alla mobilità.
Ambiti che, oltre i tecnicismi, riguardano le persone e il senso dello stare tra le cose del mondo.






Fatto sta che a Rosora, comunità baricentrica della Vallesina tra costa ed entroterra, tra i paesaggi iconici della produzione agricola e vitivinicola, i capannoni della manifattura legata alla meccanica che hanno segnato lo sviluppo del secondo ’900, questa storia unica non ha solo saputo accompagnare ciò che c’era, ma ha favorito la nascita e la crescita di ciò che appariva come un orizzonte, una promessa.
Per capire il mondo Loccioni, per rendere intelligibile la sua filosofia e la sua pratica, per cogliere l’intrinseco migrare tra opportunità, è nato Polaris®, un gioco serio che ha partecipato anche alla selezione del Compasso d’Oro. Con Play Polaris si determina il posizionamento delle aree di influenza, si comprende il common ground di riferimento, si colgono le interrelazioni alla luce di parole che rappresentano il futuro: decarbonization, electrification, digitalization. Se la matrice originaria della Loccioni è la misura, intesa in senso esteso, proprio la misura mostra qui i suoi molti volti.
Questa comunità cognitiva al lavoro – che si caratterizza per la sua urbanistica articolata su un terreno che digrada e accoglie le coltivazioni dell’asse collinare e lo scorrere del fiume – abita un masterplan preparato ad accogliere la dimensione funzionale e relazionale dello sviluppo, con un progetto di architettura e paesaggio aderente alle ambizioni e ai programmi di un’impresa energetica.
E proprio questo paesaggio segna e traguarda le grandi superfici dei laboratori che si contraddistinguono per le aree perimetrali vetrate dedicate alla progettazione e al controllo, con il corpo centrale, una sorta di chiostro, organizzato in isole che corrispondono ognuna a un progetto, a un cliente, a un tipo di controllo-verifica-misura.
L’inside out è un tratto che accompagna gli edifici, determina ambienti di lavoro aperti, luminosi, con continui cannocchiali che cercano sguardi e punti di fuga, contemplazioni verso un paesaggio che è allo stesso tempo agrario, industriale e fluviale.




Ma anche spirituale. Tutto è scintillante in questo arcipelago di isole autonome e interconnesse, tutto è dentro ma sempre connesso al fuori per ricordare che le risorse vengono dalla terra e dalle sue biomasse; dal cielo, dal sole e dalla pelle dei pannelli fotovoltaici che catturano e trattengono l’energia; dall’acqua che passa a fianco e sotto, gestita in sicurezza da mirabolanti palafitte con micropali che garantiscono protezione se il fiume si ingrossa; dal transito della strada con i suoi network fatti di relazioni, connessioni e scambi.
Accanto ai laboratori – che si caratterizzano per l’efficacia della comunicazione grafica e visiva sui muri, le altezze e la vastità degli spazi, l’ordine rigoroso e tematico, e per le sale prova che rappresentano ognuna un mondo con macchinari dedicati – come il Kite Lab dedicato all’automotive che ospita anche una parete di fotovoltaico verticale – si impongono i Nomadic Labs, un concept completamente nuovo, un’area di container bianchi, talvolta con vetrate parlanti in funzione del progetto o del cliente, che si distinguono per opportunità, velocità e mobilità.
Un terminal coperto da un cielo di pannelli solari, tra siepi di rosmarino e piante officinali, percorsi ordinati, segnaletica e stazioni di ricarica, dove i container sono banchi di misura e test che vanno e vengono, si spostano, cambiano configurazione, comunicano, agiscono come micro data center.
Se si apre una porta, attratti dal messaggio o dal brand che in quel momento sta effettuando ricerche e misure, si può incontrare una batteria elettrica in fase di test, un componente dell’industria aerospaziale, di una centrale eolica o elettrica, in ogni caso un dispositivo intelligente di nuova generazione, tipo il sistema di Storage Stazionario Second Life, il primo accumulatore di energia alimentato da batterie auto di seconda mano. La flessibilità dei banchi di misura, fatta con strutture di varia tipologia e dimensione, offre ai grandi player mondiali del settore energia, mobilità, automotive e high tech, la possibilità di confrontarsi con una community di ricerca.
Che si basa sullo stock storicizzato e aumentato di competenza ma soprattutto sulle persone e la fiducia: l’infrastruttura più pregiata e non replicabile. Le parti che compongono questa “abbazia tecnologica” che abita il paesaggio della transizione ecologica a tutto campo, si distinguono anche per il comfort, per la qualità del microclima interno fatto di aria continuamente depurata, luce avvolgente e non abbagliante, spazio, verde.
Nel sito, la categoria onde – a partire da una citazione del designer Isao Hosoe – allude alla trasversalità delle esperienze che si originano da un primo messaggio, elenca gli aggiornamenti degni di nota, la relazione tra persone, progetti e processi.
Una parola poetica e concreta, un rimando liquido e libero, imprevedibile come l’acqua del fiume che va al mare, passando per quei 2 km di futuro. Che già ora si chiama idrogeno con le sue filiere.