Progetto di Marco Federico Cagnoni
Plastic Culture è il progetto di tesi sperimentale con il quale mi sono laureato come social designer presso la Design Academy Eindhoven. Il progetto è nato dall’esigenza di unire le mie conoscenze nel campo della biologia e della progettazione, due discipline apparentemente opposte, come il design e la microbiologia, con le quali, se connesse, si possono realizzare materiali ingegnerizzati con la finalità di facilitare l’azione di sintesi delle sostanze inorganiche da parte dei microrganismi decompositori. Nel 2019 Plastic Culture ha ottenuto il Talent Development Grant, il finanziamento olandese più prestigioso nel campo del design e dell’innovazione sociale, che mi ha permesso di collaborare come ricercatore presso il dipartimento Botanico e Chimico dell’Università di Utrecht.
L’obiettivo da subito è stato quello di selezionare una serie di piante capaci di sintetizzare polimeri vegetali, evitando la creazione di bioplastiche derivate da polimeri di origine animale come la Shellac, il BoisDurci, il Galalith e il Chitosano. Nell’ambito vegetale le resine secrete da pini, abeti e altre conifere sono ricche di idrocarburi con caratteristiche identiche ad alcuni componenti del petrolio, per cui è possibile estrarne un materiale con le medesime qualità del PET. È noto che dall’albero tropicale comunemente detto l’“albero della gomma”, ovvero l’Hevea Brasiliensis, si raccoglie una resina vischioso-giallastra nota come lattice, che viene impiegata per la produzione del caucciù. Questo bio-materiale è straordinariamente resistente, flessibile e altamente impermeabile. La sua conoscenza da parte dell’uomo risale a più di 3.500 anni. È ampiamente documentato che gli Olmechi – popolazione precolombiana vissuta tra il XV e IV sec. a.C, meglio conosciuti come la ‘gente della gomma’ – siano stati abili artigiani del caucciù. Ne ricavano strumenti da caccia, armi, indumenti e sandali; ma anche oggetti sacri come piccole figure raffiguranti divinità religiose e sfere di gomma usate per un evento rituale praticato in tutto il Mesoamerica, noto come il “gioco della palla centroamericano”. Oggi l’Hevea Brasiliensis è coltivata prevalentemente nel Sud-est asiatico e riveste un’enorme importanza strategica ed economica. Da questo materiale dipende circa il 70% della produzione mondiale di lattice impiegato nella realizzazione dei pneumatici e migliaia di altri oggetti d’uso comune: tra gli altri, materassi, guarnizioni meccaniche, capi di abbigliamento, calzature, giocattoli, dispositivi medici sterili monouso. Per questo a fronte della crescente domanda mondiale di caucciù si sono creati problemi relativi alla sua produzione e approvvigionamento, tanto da essere incluso nell’elenco delle materie prime critiche della UE.
I motivi di questa crisi vanno ricercati da un lato nella sostituzione delle piantagioni di Hevea con la palma da olio per l’industria dei biocarburanti, e dall’altro nell’infestazione batterica che sta colpendo l’apparato radicale degli alberi, per cui sembra non sia stata trovata ad oggi alcuna cura possibile. Inoltre la realizzazione di piantagioni di Hevea è una delle cause del disboscamento e conseguente perdita di ecosistemi naturali di intere aree di foreste pluviali situate spesso in regioni povere come il Laos e la Cambogia. L’industria della gomma sta quindi creando una vera e propria catastrofe ambientale, cancellando l’habitat naturale di moltissime specie vegetali e animali e prosciugando interi bacini d’acqua necessari per l’abbondante irrigazione di cui queste piante necessitano. Nel mondo vegetale, tuttavia, si contano più di 12.500 specie di piante che spontaneamente producono il lattice come forma di difesa naturale dagli agenti esterni. La mia ricerca si è focalizzata nel selezionare arbusti ed erbe da cui si estrae un lattice con le medesime caratteristiche chimiche di quello estratto dalle monoculture tropicali, producendo una Bioplastica “locale” da piante che non richiedono l’uso di pesticidi e fertilizzanti, essendo facilmente coltivabili nel nostro territorio a clima temperato e mediterraneo. Il Tarassaco è una delle piante che ho selezionato, perfetta per la produzione del caucciù locale. È anche un ottimo alimento, essendo ricco di nutrienti e di benefiche proprietà. Dalle radici essiccate si produce una buona farina senza glutine e dalle stesse, se tostate, un perfetto sostituto del caffè. Dalle foglie si ottiene un’ottima insalata e dai fiori un liquore amaro chiamato Dandelion Wine. Altre piante come il Guayule, sono già state coltivate in Italia durante la seconda guerra mondiale per far fronte all’embargo di gomma naturale imposto all’Italia dalla Lega delle Nazioni tramite sanzioni internazionali. Il Ministero dell’Industria spinse nel 1936 la Pirelli e l’IRI a costituire la SAIGA. Società Agricola Italiana Gomma Autarchica, nata per la produzioni di Pneumatici Airless, conosciuti anche come ruote autarchiche, che venivano usate su vari tipi di rimorchi e mezzi militari. Successivamente col finire della guerra e con l’invenzione della gomma sintetica, la SAIGA venne liquidata nel 1947 determinando la fine delle ricerche sulle plastiche di origine vegetale. Il progetto Plastic Culture vuole riportare in attività questa industria dimenticata, ispirandosi anche alla breve esperienza autarchica, riletta oggi da un punto di vista sostenibile, per far fronte alla crisi delle materie prime che sta investendo la maggior parte dei paesi europei e per creare un materiale organico e biodegradabile che contrasti l’inquinamento ambientale e il grande problema dello smaltimento dei rifiuti.
Plastic Culture è attualmente esposto presso il museo del Design di Vitra e pubblicato nel catalogo edito da Vitra Plastic: Rethinking our World. Inoltre sarà presto pubblicato nel secondo volume di Non-Extractive Architecture, curato da Joseph Grima e Space Caviar in collaborazione con la 17° Biennale di Venezia. Oltre ad aver partecipato a varie mostre internazionali, Salone del mobile, Dutch Design Week, MU Hybrid art House Eindhoven, Rotterdam Biennale, il progetto è stato pubblicato nelle riviste Frame, Damn and Design Unlimited magazine, nel volume Do it Ourselves edito da NAI/010 e nella raccolta Future Materials Bank dell’Istituto Jan van Eyck. Durante il 2021 Marco Federico Cagnoni ha diretto il dipartimento di Biodesign presso l’università HfG Design di Karlsruhe, Germania.