Editoriale

Futuro in cromotrame

Mappe °20


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Il pensiero dei progettisti

L’architettura, fatto plastico ed astratto, è incolore o, se si vuole, acolore. La possiamo «ideare» secondo colore (o colori) e materia (o materiali), ma se la dobbiamo giudicare puramente come architettura: nella essenza architettonica, la consideriamo acolore. Come la scultura. Come il fenomeno, volumetrico, del cristallo. Quindi è naturalmente bianca. […]. Quando si pensa ai colori nell’architettura si fa allora dell’ambiente, della paesistica (paesaggio verde o paesaggio urbano). È un fatto di paesaggio e non di architettura […]. Il colore nel paesaggio urbano è una espressione di architettura solo «corale» in senso polifonico: una voce diversa in un canto unico.

Gio Ponti, Amate l’architettura. L’architettura è un cristallo, 1957

Parlare di relazione tra spazio, materia e colore necessariamente tira in ballo la percezione, l’azione della luce e delle ombre, il mutamento della visione a causa del movimento. La parallasse, l’errore. E pone l’attenzione sul valore dell’esperienza in architettura: un fenomeno che non possiamo registrare in modo univoco ma che possiamo limitarci a raccontare, come possibilità comune, ricca, molteplice.

Senza esagerare possiamo intendere questa relazione come una specie di riscatto sensoriale di fronte al mito del bianco in architettura, inteso come rimosso dell’antico e fantasma del moderno. Se per l’estetica di Winkelmann il mito del bianco, con tutta la sua dimensione storica, è diventato esaltazione della forma (o del volume), declinazione del bello, linguaggio assoluto dai significati universali fino alla fascinazione del minimalismo, non si può negare che colore e trame rappresentano le superfici, le configurano e le condizionano. Non vi è forma (o volume) che eviti di essere interessata dal condizionamento materico e cromatico, con buona pace di chi è dell’idea che l’architettura debba essere essenzialmente un’organizzazione di volumi. Perché nella sua inevitabile dimensione contestuale, paesaggistica, corale, oggi più che mai l’architettura si mostra come parte regolare nell’insieme naturale, dove architettura e interpretazione del paesaggio si sovrappongono e si sfocano.

Molti sono gli architetti, anche di fama mondiale, che usano il colore nelle loro architetture e che pensano la soluzione architettonica in termini cromatici. C’è anche chi dà colore alle opere solo manipolando sapientemente trame e materiali. Alcuni operano texturizzando le pareti e altri raccolgono la sfida attribuendo al colore e alla materia un maggiore ruolo nella definizione degli spazi, sfruttandone completamente le caratteristiche espressive.

Uno di questi è Dominique Coulon, che trasforma le geometrie attraverso soluzioni cromatiche che mutano la percezione spaziale. Un altro è il portoghese João Pernão, che usa la riflessione luminosa per colorare l’interno degli spazi architettonici. Senza dimenticare Steven Holl. Mentre i Topotek spalmano il colore a terra configurando spazi aperti mutevoli, Elastic Group riconfigura architetture stratificando nuovi segni prodotti da bombardamenti di proiezioni, laser e site-specific, e ironizzando sul gioco sapiente dei volumi sotto la luce.

Ma l’aspetto che mi preme sottolineare, nel cercare di presentare i progetti pubblicati in questo numero di Mappe è l’idea che colore e materia nascondono qualcosa che sta sotto le cose e che nel frattempo privilegiano, forniscono un senso o un significato a ciò che proteggono. Quanto celato all’evidenza ha una virtù, una qualità: come se l’errore di parallasse, quell’aspetto della percezione che mutacon il movimento e ammette l’impossibilità nativa di dare LA misura delle cose, riesca a rendere vero il mondo dei significati che si addensa su di esse.

In un piccolo libro, Scritto in un giardino, che è insieme riflessione poetica e meditazione filosofica, Marguerite Yourcenar descrive i colori e le materie come un fenomeno che si colloca esclusivamente all’esterno delle cose. Ciò che è nascosto alla vista, però, costituisce il motivo della presenza di un limine superficiale che fornisce il motivo della esistenza di ciò che sottende il rivestimento cromatico. Sotto il colore e le trame della materia, quindi, vi è sempre qualcosa che offre il pretesto al colore e alle trame di esistere. Materia e colore nascondono, dissimulano altri significati, quando usati con sensibilità, che non sono rivolti a tutti. Come uno scrittore si sceglie i suoi lettori, così chi prova a usare colore e materia con sapienza, cerca di trasmettere messaggi che sono indirizzati a soggetti altri, capaci di percepirne l’intimo. Senza volgarità, rifuggendo l’esteriorizzazione smisurata o l’eccesso. A volte colore e trama materica risultano facili strumenti gratuiti. Trasmettere messaggi che abbiano una qualità nascosta forse non è più pratica diffusa, ma certamente ancora viva.

E se, come dice Nietzsche, “un libro è per tutti e per nessuno”, nei progetti mostrati mi sembra che si possa dire lo stesso per trame e colori usati.

Lascio quindi al lettore il diritto di commettere il suo errore di parallasse.

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