Un neologismo, un neo verbo? Chissà. Immenso è il pensiero, sfaccettata cangiante e sfidante è la pratica, mutevole e ambivalente è il significato. Impegnative le parole, dinamici i verbi, intriganti le simmetrie annidate una dentro l’altra nell’universo di coabitazioni multidisciplinari. Si resta ammirati davanti al processo dell’abitaredisabitare, una sequenza alchemica di metamorfosi, come se al mistero originario e fondativo dell’abitare corrispondesse uno stesso contemporaneo mistero del disabitare, in un risuono degli opposti fatto di riverberi e onde d’urto. Si abita la Parola, il Verbo, la lingua che insieme al linguaggio definisce lo sguardo sul mondo; si abita il corpo coi suoi silenzi e i suoi dialoghi; si abitano gli oggetti e le immagini, gli schermi e i devices; si abitano le sorgenti, i templi della ricerca e della conoscenza, le opere del talento e dell’ingegno dove ogni alfabeto e ogni sintassi esprime la profondità, la densità granulare e il senso dell’esperienza. Si abita la terra fatta di città che vibrano; si abita il cielo nelle geometrie invisibili dei corridoi aerei, nel volo degli uccelli destinati dalla natura a rotazioni immutabili e predeterminate, nelle orbite dei satelliti e delle stazioni spaziali, nell’assenza di gravità che ridefinisce la percezione. Si abita la storia umana impaginata in storage sempre più intelligenti, accoglienti, ammalianti – santuari del Tempo, ipertesti di intelligenze collettive stratificate, immaginari di appartenenze simultanee chiamate a volteggiare tra orizzonti, forme e significati. E si abita la casa, quella reale che in ogni tempo interpreta bisogni e desideri, e quella personale, talvolta irrituale, che custodisce stili di vita, sistemi valoriali, culture dell’uso più che del possesso. In fondo autogrill, stazioni e aeroporti, hotel, infrastrutture, mezzi di trasporto, ma anche social media, app, chat rappresentano un’idea estesa di casa come community, un rimando al senso di appartenenza più che ai codici dell’abitabilità convenzionale. Si abita nella fruizione, nell’esperienza, nella conoscenza temporanea e fuggevole còlta negli stadi e nelle gallerie, nei luoghi dell’ospitalità e del consumo; si abitano i luoghi dalle rimembranze antiche dai significati nuovi. Si abita l’Altrove che ha tanti volti e tante forme, e ogni volta si abita e si disabita la confidenza col limite e il confine. E così ogni luogo è sospeso, in attesa, con il suo carico di energie – sacro come l’acqua che trattiene memoria di tutto ciò con cui entra in contatto, sacro come i campi messi a maggese che attendono future destinazioni funzionali e simboliche. Da 15 anni, ogni anno nello stesso giorno – il terzo venerdì di luglio – DMKM-278 per qualche ora abita disabita e riabita l’arenile di Marzocca. Lo fa con la sacralità di un rito laico e con lo slancio dell’edificazione davanti al mare Adriatico, sulla spiaggia nuda e radicale di un bene comune irriducibile pronto ad accogliere voci, pensieri e sguardi da ogni dove, per restituire all’alba di un giorno nuovo lo stock di conoscenza e relazione che quella notte ha imparato a generare e condividere. Nella vitalità della community onlife si rinnova il committment con parole innervate da una stessa energia, giacchè abitaredisabitare è ardere, aderire, accettare il corpo a corpo con le idee, le sospensioni, i pieni e i vuoti, i racconti le parole e le storie degli altri.
Demanio 15, sotto la corolla di ombrelloni a strisce colorate – simbolo dell’estate col suo tempo mitico e infinito – mostra gli accessi e le faglie tra il Qui e l’Altrove. E nei turbamenti della coscienza rinnova le domande e i dubbi di questo tempo incerto, che mentre immagina forme di abitabilità extraterrestre concepisce e programma tragiche, feroci derive di disabitabilità per interi popoli e paesaggi.