Condividiamo con piacere l’intervista realizzata da Claudia Giraud a Davide Quadrio, neo direttore del MAO di Torino, recentemente pubblicato sul sito di Artribune.
È una visione fortemente contemporanea quella del nuovo direttore del Museo d’Arte Orientale di Torino. In questa intervista fa il punto sul programma del prossimo biennio. “Il MAO può diventare un luogo di studio ‘contemporaneo’ della relazione tra Asia e Torino, l’Italia e l’Europa”: con queste parole il neo direttore di MAO Museo d’Arte Orientale, introduce il nuovo corso di una delle realtà più significative del Belpaese, e tra le maggiori a livello europeo, per la conoscenza e lo studio dell’arte orientale, ospitato nello storico Palazzo Mazzonis e parte della Fondazione Torino Musei. Insediato da meno di un mese, lo abbiamo intervistato per conoscerne visione e programmi per i prossimi due anni.
Intervista a Davide Quadrio
Partiamo dalla fine: hai co-curato Hub India, il progetto fuori fiera di Artissima sull’arte contemporanea del subcontinente indiano che ha coinvolto due musei della Fondazione Torino Musei, tra cui il MAO, e l’Accademia Albertina. Che bilancio fai di quella esperienza?
Hub India è stato un progetto che ci ha un po’ travolto, nato nel 2020 poi rimandato nel 2021, ha permesso a me e Myna Mukherjee di lavorare su un side project come Sama, un film che ha creato le basi per Hub India. Ricerca, assonanze e fluidità di questo percorso hanno portato poi alla mostra tripartita in condizioni globali pandemiche, che hanno davvero reso l’operazione anche fin troppo estenuante. 300 opere in mostra, quando non si riusciva neanche a trasportare una cassa dall’Asia in Europa: è stato veramente un miracolo. Con il senno di poi avremmo fatto alcune modifiche importanti, non sulla selezione delle opere, ma su come avremmo presentato testi e introduzioni. Abbiamo fatto un lavoro immenso online con QR code, ma ci siamo poi resi conto che il visitatore ancora non è particolarmente avvezzo a questi strumenti e non riusciva a trovare i lavori nelle varie mostre.
Come ha risposto la città?
Si è trattato di un progetto gestuale: letteralmente stendere la mano, portare lavori di artisti e metterli in relazione con le sedi. Tutto qui. La città ha risposto positivamente anche ad Artissima, dove abbiamo presentato una decina di gallerie e istituzioni indiane. Il booth era sempre affollatissimo.
È stato un assaggio dell’imprinting che darai al Museo di Arte Orientale di Torino in veste di direttore?
Questo progetto non è di per sé un prodromo del programma del MAO. In museo ci saranno interventi che hanno a che fare con il contemporaneo, non tanto come arte contemporanea ma come coinvolgimento di artisti, curatori, conservatori che lavorino nel MAO sulle collezioni e sugli archivi. Il museo diventerà un luogo aperto al pubblico al di là delle mostre e accoglierà lo studio delle collezioni attraverso lo sguardo di artisti, conservatori, curatori, studiosi e studenti. II MAO è potente, ma ha ancora grandi potenzialità inespresse: credo che abbia in sé la possibilità di diventare un luogo di studio “contemporaneo” della relazione tra Asia e Torino, l’Italia e l’Europa.
Il MAO secondo Davide Quadrio
Ora sei appunto il nuovo direttore del MAO che arriva da una trentennale esperienza in Asia, dove hai fondato nel 2007 Arthub Asia, una piattaforma di ricerca dedicata a promuovere progetti di mobilità per curatori e artisti e collaborazioni internazionali. Cosa porterai in dote a Torino di quel patrimonio di conoscenze e strategie e come pensi di applicarle al contesto torinese?
Ogni progetto ha bisogno di essere radicato nel suo tessuto sociale e geografico immediato e da lì si può aprire. Rispetto ad Arthub, e prima ancora a BIzart a Shanghai, dove per ragioni anche anagrafiche e professionali ero all’inizio della mia carriera, al MAO arrivo con un network internazionale consolidato e porto con me un modo di fare super energetico e coinvolgente. Per me il MAO è innanzitutto le persone che ci lavorano e mi sto concentrando su di loro attraverso una serie di attività che le coinvolgano direttamente. Poi la collezione, altro elemento per me fondamentale: la collezione ‒ o meglio le collezioni ‒ sono il centro del MAO, la sua potenza ancora in parte inespressa.
Qual è la tua visione?
Il lavoro dei prossimi quattro anni sarà incentrato proprio sulla collezione, su produzioni originali che da lì prendano avvio e che possano viaggiare nel mondo in collaborazione con altre istituzioni italiane e globali. Il 16 marzo ho presentato il programma del prossimo anno analizzando, con contributi di direttori di musei come il Mori Art Museum (Tokyo), M+ (Hong Kong), KNMA (New Delhi), aspetti che hanno a che fare con collezioni asiatiche in contesti occidentali, problematizzazione dell’oggetto di origine asiatica e della sua interpretazione e restituzione nel contesto museale etc. Insomma il lavoro che farò con il team è veramente quello di energizzare la collezione, renderla viva e superare un’idea ghettizzante dell’Asia: MAO come luogo di studio ed espansione, per tutti.
Subentri nella direzione a Guglielminotti Trivel, conservatore per l’Asia Orientale, che ha contribuito alla prima apertura al pubblico del museo nel 2008 e al riallestimento della galleria dedicata alla Cina nel 2015. Come pensi di valorizzare le collezioni esistenti ed eventualmente incrementarle?
Sto lavorando per invitare conservatori e curatori asiatici e del mondo arabo attraverso residenze lunghe. Sto anche mettendo a punto un programma di artisti (italiani e stranieri) che lavorino sulla collezione. Sicuramente ci saranno mutamenti negli allestimenti anche se solo con pochi gesti, ma che reputo essenziali. Si lavorerà sulle rotazioni della collezione e su parti della collezione mai viste prima. Uno degli obiettivi è certamente quello di incrementare la collezione ed espandere le collaborazioni con musei importanti nel mondo. Quindi per riassumere: da una parte valorizzazione della collezione ed espansione attraverso un lavoro scientifico e artistico locale e internazionale, dall’altra un lavoro di collaborazione museale internazionale per creare progetti di espansione (mostre) con musei e collezioni prestigiose globali.
Il futuro del MAO di Torino
Come si posiziona il MAO, in termini di riscontro presso il pubblico, rispetto agli altri musei di arte orientale in Italia? E a livello internazionale? Pensi di instaurare sinergie e collaborazioni?
Il pubblico del MAO è in realtà molto fedele e il museo è visitato (con mio grande piacere) da migliaia di persone, soprattutto nel weekend. I numeri sono molto più alti di quelli che mi aspettavo. Sicuramente c’è spazio per crescere ancora, anche se l’edificio ha dei vincoli strutturali importanti. Avere 1000 visitatori al giorno già richiede uno sforzo strutturale.
Credo sia molto importante accrescere la presenza del MAO attraverso collaborazioni importanti, prima fra tutte la collaborazione con il Museo delle Civiltà di Roma, dove si sta insediando il nuovo direttore Andrea Viliani, con cui stiamo già tessendo fila interessanti.
E con gli altri musei cittadini c’è l’idea di fare sistema? In che modo?
Importantissimo per me il rapporto con GAM, Palazzo Madama e Artissima, che fanno parte della Fondazione Torino Musei come il MAO, con cui condividiamo archivi estesi e con cui sicuramente stiamo già mettendo a sistema le nostre risorse. Come con Hub India, credo che sia importante lavorare in Fondazione espandendo le possibili sinergie. Per natura io credo in un lavoro di sistema: lavorare assieme vuol dire espandere la propria presenza e anche portare energia nuova. Sul territorio stiamo già lavorando con gli Amici della Fondazione Torino Musei e i volontari del MioMAO e poi naturalmente con la Consulta per la Cultura, siamo in contatto per esplorare collaborazioni con Torino Danza, Add Edizioni, Castello di Rivoli…
Ci puoi anticipare la programmazione museale del prossimo biennio?
La prima mostra, Il Grande Vuoto, sarà sviluppata intorno a un bellissimo thangka tibetano del XV secolo. Non vi anticipo altro, ma sarà una mostra immersiva con una collaborazione illustre di Vittorio Montalti, compositore, e con una serie di performance di Montalti con la virtuosa Gloria Campaner. Avremo due artisti in residenza, Lee Mingwei e Charwai Tsai, che lavoreranno all’interno del museo con il nostro staff. Marzia Migliora trasferirà provvisoriamente il suo studio al museo per lavorare sugli archivi di stampe giapponesi. Con la fondazione De Ying di Hong Kong porteremo in residenza due conservatori che si occupano di arte sociale e di musica tradizionale cinese.
Cosa succederà in autunno?
La mostra autunnale sarà, invece, in collaborazione con il Museo delle Civiltà e porterà in mostra sculture buddhiste cinesi delle due collezioni, la maggior parte delle quali mai esposte prima. Antonella Usai sarà artista in residenza at large per lavorare sul gesto rituale nella collezione. Stiamo poi definendo una collaborazione con la Fondazione Paola Besana sul retaggio della tessitura manuale. Una collaborazione importante iniziata dal mio predecessore con la Facoltà di Architettura di Torino lavorerà, invece, sulla restituzione di lavori in collezione in una maniera innovativa, lavori che parleranno di inclusività, esperienza tattile e nuove tecnologie. Molto altro si sta definendo con Paesi dell’area araba e del Sud Est asiatico. Sono direttore da soli quindici giorni… nonostante viaggi ancora con ritmi cinesi, mi serve qualche mesetto per essere veramente a regime.
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