nelle Marche
È accaduto tanti anni fa, e ancora mi meraviglio nonostante tutto. “Vi mando il girato sulla Chietese” “Ma questa è Ancona”. “Perché? Ancona non sta in Abruzzo?”. Ora, direte voi, tanti romani – ancor più se dipendenti Rai – sono certi che fuori dall’Urbe il mondo sia in gran parte popolato da indistinte orde barbare. Epperò per tutta la vita ho dovuto far i conti con l’anonimità della terra in cui sono nata. Da quando, ancora studentessa, un altro marchigiano adottato a Bologna, un grande però, Andrea Pazienza, vergò per Il Male la maledetta fulminante “Le Marche una regione dove vivere dimenticati”. Che in realtà era nata come “morire dimenticati”, ma persino quegli irriverenti scelsero di attenuare il lucido sberleffo. Dimenticate, fuori dai confini dell’impero, “e pensare che c’è un sacco di gente che vive e lavora a Macerata”. Me ne sono fatta una ragione quando lessi, non ricordo più dove e quando, un economista, marchigiano anch’egli, Geminello Alvi, spiegare che nelle Marche si viveva più a lungo perché prive della magnificenza che intimorisce, da Venezia (anche nel faticoso inferno di assedianti) a Ortigia.
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