nelle Marche
Nel diluvio di finanziamenti per – quasi – ogni cosa qualche riflessione. PNRR, 110%, bonus facciate… sono 17 le misure che contengono un incentivo e definiscono processi e cambiamenti dentro le filiere del progetto e delle costruzioni. Qualcosa di simile a un overbooking normativo con vantaggi fiscali che sta ridisegnando le città, i centri storici, il paesaggio. La qualificazione è un output indubbio – tutto più ordinato, lindo, a norma; la valorizzazione del patrimonio civico nazionale, la qualità urbana come fattore di sviluppo socio economico delle comunità; l’indubbia attrattività turistica che affianca un’idea allargata di residenza, temporanea e permanente. Tutto vero, vero come alcune distorsioni e ripercussioni. La prima è relativa agli impatti sul ruolo, la dignità e il rispetto della professione, sulla sua centralità e necessità. Sul suo valore. Quando si tireranno le righe dei bilanci finali il rischio è che, tra tempi e complessità (follie?) normative, abbia vinto la ruota del criceto. Non è diverso per i bandi che riguardano lo sviluppo territoriale, i borghi e le piccole comunità, le aree interne nelle varie declinazioni, specie e sottospecie. Se la competenza e la qualità dei progettisti culturali non si discute, ed è una bella notizia, c’è da chiedersi come sfuggire – davanti a ingenti risorse – alle insidiose omologazioni mainstream che orientano e stringono le storie di ogni campanile in procedure e processi standardizzati. Tanto sul piano dei contenuti e dei format che le imprese culturali e creative sapranno generare, quanto sul piano dei metodi e della governance pubblica e privata. Laddove questo tempo chiede originalità personalità unicità, ripercorrere gli stessi stilemi – magari concepiti in altre epoche e infilati in qualche cassetto in attesa di tempi migliori – rischia di essere non solo un’occasione persa ma una legacy faticosa con cui convivere. Ma tra questi luci e queste ombre si affaccia un’Italia nuova.
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